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Un chatbot per assistere i malati di Alzheimer

Per combattere la malattia di Alzheimer ci si affida alla ricerca e alla diagnosi precoce, e il percorso per restituire dignità ai malati e aiutarli a rimanere protagonisti della propria quotidianità oggi passa anche dalla tecnologia e dai social, a partire dai chatbot, assistenti virtuali che supportano le persone attraverso l’intelligenza artificiale.

Di questi temi si è discusso in settembre presso il Ministero della Salute, in occasione di un incontro dedicato proprio alla malattia di Alzheimer, organizzato da Italia Longeva, la rete nazionale di ricerca sull’invecchiamento e la longevità attiva creato dall’Irccs Inrca di Ancona, dalla Regione Marche e dal Ministero della Salute, sostenitore del progetto “Chat Yourself”, il primo chatbot per i malati prodromici di Alzheimer.

La sua diffusione è sostenuta da una campagna social che vede in prima linea esperti e familiari.
«Per l’Italia, il Paese più vecchio al mondo insieme al Giappone, le demenze rappresentano un problema sociale sempre più importante», ha dichiarato Roberto Bernabei, presidente di Italia Longeva. «Ciò vale in particolar modo per l’Alzheimer, la forma di demenza più violenta sia dal punto di vista epidemiologico sia dal punto di vista dell’impatto sulla qualità di vita dei pazienti e dei loro familiari».

«Questa patologia interessa quasi il 5% degli over 65 ma, secondo proiezioni elaborate dall’Istat per Italia Longeva, nel 2030 il valore triplicherà e saranno colpiti da questa malattia oltre 2 milioni di pazienti, in prevalenza donne. In attesa di cure efficaci, una strada percorribile nelle prime fasi dopo la diagnosi è sfruttare la tecnologia. Chat Yourself è nato con l’obiettivo di contenere il danno causato dalla malattia», ha concluso il prof. Bernabei.

La malattia di Alzheimer comporta un lento e progressivo decadimento delle funzioni cognitive, dovuto all’azione delle proteine Beta-amiloide e Tau, che si accumulano nel cervello causandone la morte cellulare.

«Evidenze scientifiche ci dicono che l’attacco ai neuroni e ai circuiti nervosi inizia almeno 15-20 anni prima della comparsa dei sintomi tipici della memoria. Questo perché nel nostro cervello c’è un numero enorme di cellule, circuiti e sinapsi di riserva in grado di sostituire quelli danneggiati o distrutti dalla malattia, fino a quando non si arriva a una soglia limite, superata la quale il meccanismo degenerativo diventa inarrestabile», ha spiegato Paolo Maria Rossini, direttore dell’Area Neuroscienze della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli Irccs-Università Cattolica di Roma.

«Il limite dei trattamenti terapeutici fin qui tentati è stato di essere somministrati in presenza di una sintomatologia già conclamata corrispondente a una fase della malattia in cui le riserve plastiche del cervello sono esaurite. In sostanza, come voler curare il cancro in un paziente plurimetastatico. Per questo motivo, gli sforzi della ricerca sono sempre più tesi a individuare le caratteristiche prodromiche, precoci e spesso visibili solo con esami strumentali, in modo da intervenire il prima possibile con trattamenti specifici e supporti tecnologici».

L’Italia è in prima fila nell’attività di ricerca con il progetto Interceptor, il cui obiettivo è intercettare con precisione i soggetti che svilupperanno la patologia di Alzheimer.
«La malattia di Alzheimer non colpisce solamente il malato ma l’intero nucleo familiare e soprattutto chi se ne prende cura ogni giorno, che viene sottoposto a stress, stanchezza e alla sofferenza di vedere il proprio caro perdere sempre più la propria storia – ha ricordato Patrizia Spadin, presidente di AIMA – Associazione Italiana Malattia di Alzheimer -. Le tecnologie digitali possono contribuire a migliorare la qualità di vita dei soggetti coinvolti e i social network possono essere degli alleati, perché consentono di vivere la malattia in una dimensione collettiva e partecipata che aiuta ad avere maggiore consapevolezza del problema».

Una proposta concreta di uso sociale dell’innovazione tecnologica arriva da Chat Yourself, la “memoria di riserva” a portata di smartphone in qualunque momento della giornata.
Sviluppato su Messenger, Chat Yourself memorizza le informazioni sulla vita di una persona restituendole su richiesta, con possibilità di impostare notifiche personalizzate (per esempio, per ricordare di assumere medicinali).

Il chatbot è nato da un’idea di Y&R con il supporto tecnico di Nextopera e Facebook ed è stato perfezionato grazie a un team di neurologi, geriatri e psicologi; è accessibile gratuitamente sulla pagina Facebook di Chat Yourself.

Marco Ruggeri, general manager di Y&R Roma: «la creatività, unita alla conoscenza dei nuovi media e all’ausilio della tecnologia, supera i confini del convenzionale per generare valore, nel suo ambito specifico e nella società».

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