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Sanità, quando l’innovazione è nelle piccole dosi

L’assegnazione dei premi per i bandi di concorso Fellowship Program, Digital Health e Community Award promossi da Gilead Italia ha dato occasione di toccare con mano il valore e l’efficacia degli utilizzi innovativi di tecnologie e metodologie consolidate: è il caso della TC a basse dosi per l’identificazione rapida e puntuale delle infezioni polmonari in Ematologia.

L’esperienza è stata descritta da Marta Stanzani, ematologa dell’Istituto di Ematologia Lorenzo e Ariosto Seràgnoli del Policlinico Sant’Orsola-Malpighi di Bologna e responsabile del programma di Malattie Infettive e di Epidemiologia Infettivologica in Ematologia, ed è il risultato di studi compiuti dal 2015 su un preciso tipo d’infezione polmonare.

«Le infezioni che colpiscono i pazienti ematologici – ha detto Marta Stanzani – sono la mia principale specializzazione, in questo caso il focus è stato posto sulle infezioni da funghi filamentosi patogeni, cioè funghi opportunisti, che possono colpire soggetti che per vari motivi si trovano in condizione di immunodepressione».

Tipicamente, spia dell’insorgere di questo tipo di infezione è il manifestarsi di una polmonite, ma una diagnosi precisa, come riportato da Marta Stanzani, arriva di solito solo grazie alla TC. E quest’ultima, generalmente, si esegue a 5-7 giorni dall’insorgenza dell’episodio infettivo.

«La sopravvivenza dei pazienti è legata all’adeguatezza e alla tempestività con la quale viene somministrata una terapia. L’infezione da funghi crea autentici buchi nel polmone dei malati e, interessando anche i vasi sanguigni, può potenzialmente diffondersi rapidamente ovunque con risultati immaginabili».

Non a caso, secondo quanto calcolato da Stanzani, i pazienti ematologici affetti da questa grave infezione micotica presentano una mortalità molto alta, compresa nel range 10-30%.

«Poiché però si tratta di un’infezione polmonare talvolta causata da patogeni che difficilmente rispondono alla terapia farmacologica, la percentuale di mortalità varia in base alle circostanze e, per alcuni funghi, si arriva fino all’80%. Il pericolo, poi, cresce anche in considerazione del tipo di paziente che contrae l’infezione ed è altissimo nei pazienti sottoposti a trapianto di cellule staminali ematopoietiche da donatore o nei pazienti con leucemia acuta, soprattutto nella forma mieloide. A Bologna la mortalità da infezione micotica nei pazienti ematologici è del 15% circa».

Sembra quindi evidente che intervenire per tempo è essenziale per ridurre i decessi e, anzi, come si potrà osservare a breve, aumentare la sopravvivenza in misura significativa.

«Sotto questo punto di vista la possibilità di eseguire subito una TC, fin dai primi sintomi, sarebbe importante per individuare e fronteggiare in modo efficace e rapido la problematica infettiva. Purtroppo, però, la TC standard richiede una dose non indifferente di radiazioni, che possono essere dannose e per questo è in genere riservata a pazienti con forte sospetto d’infezione polmonare, ossia quando il paziente non ha risposto alle terapie antinfettive somministrate. Spesso si preferisce eseguire un semplice rx del torace, che però nei pazienti ematologici presenta un’alta percentuale di falsi positivi e falsi negativi (fino al 50% degli esami eseguiti), risultando praticamente inutile in quanto il clinico non può fidarsi dell’esame eseguito».

Da una simile presa di coscienza e dal conseguente costante confronto con i colleghi della Radiologia del Policlinico Sant’Orsola (dottoressa Claudia Sassi e professor Giuseppe Battista), è scaturita l’idea di anticipare il più possibile l’esecuzione della TC, già al primo o al secondo giorno di febbre, e per fare questo senza gravare il paziente di alte dosi di radiazioni, i radiologi hanno usato una dose di radiazioni sino al 90% inferiore a quella consueta.

«La procedura – ha ricordato Stanzani – è stata portata avanti su un campione di 70 individui alcuni dei quali erano stati in precedenza sottoposti a trapianto da donatore. È stato condotto un confronto con le casistiche registrate nel nostro database, che risale sino al 2007. Questo ci ha consentito di verificare che la sopravvivenza risultava statisticamente migliorata rispetto al gruppo di controllo».

L’analisi realizzata dal professor Russell E. Lewis (Malattie Infettive, Università di Bologna e in precedenza professore all’MD Anderson Cancer Center di Houston, Texas) «è stata multivariata», prendendo in considerazione i fattori di rischio di sviluppo di infezioni fungine nei pazienti ematologici, dal tipo e stato della malattia ematologica, all’esposizione precedente a spore fungine, al tipo di terapia somministrata e compresenza di altre infezioni. Posti gli aggiustamenti richiesti, i risultati restavano pressoché identici.

«Subito dopo l’esame TC a basse dosi e in presenza di lesioni sospette abbiamo effettuato anche un’analisi di secondo livello – ha aggiunto Stanzani – per caratterizzare al meglio le lesioni mediante mezzo di contrasto ed eventualmente per comprendere se la broncoscopia potesse essere utile e fattibile per riuscire a identificare con esattezza ogni agente patogeno».

Oltre all’aspetto clinico, abbiamo voluto studiare nei dettagli altri due aspetti, quello radiologico e quello strategico. Il primo, «per capire se il dosaggio basso risultasse ugualmente efficace per la lettura della TC». Un esito «non scontato». Per l’aspetto strategico, «si è potuto provare che fra l’anticipazione della TC e una più lunga sopravvivenza sussiste una correlazione diretta. Sono già disponibili i dati sulla diminuzione della durata del ricovero nei pazienti con diagnosi precoce e prossimamente intendiamo analizzare nel dettaglio ogni aspetto di queste infezioni. Crediamo comunque che siano fondamentali i numeri relativi all’aumento di sopravvivenza».

La sperimentazione dell’Ematologia e Radiologia del Sant’Orsola-Malpighi si può probabilmente applicare con successo anche ad altri pazienti con patologie differenti, benché forse l’essenziale è che, «indipendentemente dal tipo di soggetto e dalla malattia, una TC con radiazioni ridotte per il 90% senza dubbio è un enorme vantaggio».

Però, «per dare ulteriore respiro a questa tecnica gli specialisti devono lavorare a stretto contatto con i radiologi in un continuo scambio di opinioni e dati clinici».

Destinazione Australia

È possibile che la leggibilità di una TC low-dose possa apparire diversa e più complicata per il personale di Radiologia e che pertanto sia necessaria formazione. Anche perché già di per sé la corretta interpretazione dei documenti di diagnostica per immagini non è cosa banale. Servirà «un certo allenamento» secondo Stanzani, convinta che la collaborazione fra Ematologia e Radiologia a Bologna sia ottima e fondamentale. Così come incoraggianti sono le prospettive per l’avvenire, con l’apertura di inediti orizzonti intercontinentali.

«La previsione è di pubblicare le nostre ricerche su una o due testate internazionali almeno e vi è concreta possibilità di collaborare con l’Università di Melbourne, dove si sta sviluppando un nuovo sistema di classificazione radiologica delle lesioni basata sull’elaborazione informatica. Il progetto è già entrato nel vivo e per il team del Sant’Orsola la cooperazione può rivelarsi fruttuosa».

Dall’altra parte del pianeta si sta già mettendo in atto ciò che a Bologna era una semplice ipotesi di lavoro e cioè dare alla TC prerogative di screening via pc, oltre che di ordine meramente diagnostico. Elevate sono, infine, le attese per gli sviluppi futuri della ricerca e il passaggio all’uso della TC con finalità di diagnosi sui pazienti a rischio (e con febbre) è parte integrante di questo processo.

«Contando su finanziamenti regionali dedicati vorremmo iniziare ad applicare la PET con fluoro-desossiglucosio e diverse soluzioni di imaging per caratterizzare il metabolismo delle lesioni. Questo perché, attualmente, dopo aver cominciato una terapia antifungina, non è possibile sapere quando interromperla e tale terapia potrebbe anche proseguire anche più di un anno. La PET, vedendo il metabolismo delle lesioni, ci potrebbe dire quando l’infezione fungina è spenta, cioè quando la terapia è riuscita a eradicarla e quindi quando possiamo terminare la terapia. È noto, pure in assenza di dati ultimativi, che questo metodo è già in uso per infezioni di altro tipo. Applicarlo alle micosi invasive dei pazienti ematologici sarebbe una novità. L’obiettivo al quale tendere nell’ottica di autentica stewardship antimicrobica è possedere gli esami e la metodica più appropriati per eseguire la terapia corretta al paziente e per il tempo necessario per guarire dall’infezione».

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