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Metodo InsideOut per il monitoraggio delle emozioni nella pratica clinica

Merck ha recentemente organizzato a Milano MeMO (Merck Oncology Meeting Emotional Experience), una due giorni dedicata ai progressi scientifici ed alla pratica clinica in ambito oncologico, con una particolare attenzione ai tumori del colon retto e ai tumori della testa e del collo. e che ha portato a evidenziare la metodologias InsideOut per la gestione delle emozioni.

Secondo i dati forniti da Merck in un comunicato, ogni anno in Italia si registrano 373.000 nuovi casi di tumore, 51.000 dei quali colpiscono il colon retto. Terzo cancro più diffuso, il carcinoma del colon-retto è la quarta principale causa di morte a livello mondiale. In Italia sono circa 450.000 le persone affette da carcinoma del colon-retto. A una persona su quattro la diagnosi arriva in fase avanzata. I tumori testa-collo rappresentano circa il 5% di tutte le neoplasie. Ogni anno in Italia si registrano 9.700 nuovi casi di tumori del distretto cervico-facciale, e sono circa 110.000 gli italiani che convivono con la patologia.

Il Merck Oncology Meeting Emotional Experience (MeMO) è stata l’occasione per celebrare i 15 anni dall’introduzione nel nostro paese di cetuximab, l’anticorpo monoclonale mirato al fattore di crescita epidermico (EGFR, Epidermal Growth Factor Receptor) con il quale Merck ha fatto il suo esordio nell’area terapeutica dell’oncologia. Focus sulle terapie, dunque, ma non solo.

Relazione medico-paziente: il ruolo delle emozioni

L’approccio di Merck in oncologia è quello di essere un healthcare provider globale caratterizzato dal massimo impegno nella Ricerca & Sviluppo di nuove soluzioni terapeutiche, ma anche capace di attenzione ai bisogni del paziente oncologico che vanno “oltre il farmaco”, in un percorso che tiene conto delle esigenze della persona nella sua interezza.

È per questo che uno specifico modulo del MeMO è stato dedicato al ruolo delle emozioni nella gestione della relazione medico-paziente.

Come spiega in una nota di Merck Luca Ostacoli, Professore associato di psicologia clinica presso la scuola di medicina di Torino, responsabile del servizio di psicologia clinica presidio ospedaliero S. Anna, “Per gli operatori sanitari imparare a conoscere le emozioni è fondamentale per poter gestire meglio i pazienti e i familiari. Comprendere il vissuto psicologico e fisiologico della persona, aiutarla validando le sue emozioni, facendole capire che può provare paura, rabbia o imbarazzo, è il primo passo per potersi relazionare in modo empatico e attento e migliorare l’interazione, rendendo così meno complesso il percorso terapeutico“.

Il modulo dedicato al ruolo delle emozioni ha utilizzato la metodologia InsideOut, mirata a mettere in scena, tramite rappresentazioni audiovisive, il rapporto medico/paziente, facendo emergere in contemporanea le emozioni, in particolar modo quelle nascoste e trattenute.

La metodologia riprende l’artificio del “dentro/fuori” di Riley, la preadolescente protagonista del film di animazione “InsideOut” e permette ai partecipanti, tramite l’innovativa alternanza “fiction” (rappresentazione della realtà) e avatar digitale (rappresentazione del mondo interiore del paziente e delle sue emozioni più vere), di vedere “oltre” il paziente che hanno di fronte, per osservarlo nel suo intimo.

Obiettivo della metodologia, di cui riportiamo di seguito la descrizione fornitaci da Merck, è ragionare sulla lettura delle emozioni e trasferire ai partecipanti la capacità di riconoscerle, fornendo i primi rudimenti su come aiutare i pazienti ad affrontarle.

InsideOut: le emozioni nella pratica clinica

Che le emozioni siano una parte fondamentale del nostro essere è certamente indubitabile e il nostro benessere passa attraverso di esse, ma non solo quello, anche la nostra interpretazione dell’esperienza, di quanto ci accade. A ben guardare un’emozione non è altro che uno schema composto da aspetti fisiologici, da aspetti comportamentali e da aspetti di pensiero. Questo schema è molto articolato e automatico, tanto che, dal punto di vista neurologico, i circuiti nervosi che appartengono alle emozioni sono collocati nella parte più primitiva del nostro cervello, quella più profonda e antica, oltre che comune ad altri animali. Le emozioni dunque sono un costrutto articolato che ci permette di dare risposte immediate all’ambiente: sono una predisposizione ad agire. Ognuno reagisce alle situazioni in base alla propria personalità, alla propria storia clinica ed esistenziale, al tipo di rapporto che ha con gli altri e al contesto ambientale in cui si trova in quel momento.

Il paziente reagisce a determinati turbamenti con modalità proprie che possono concernere, per esempio, la passività o l’intraprendenza, il controllo o l’evitamento, la condivisione o l’introversione, l’aggressione con i silenzi o con le parole. Anche la storia clinica personale e familiare può influenzare il vissuto emotivo e l’approccio alle cure del paziente. La propria storia di vita è anch’essa importante per il vissuto psicologico. Gli scambi emotivi che avvengono continuamente fra paziente e familiare vengono trasmessi direttamente o indirettamente all’operatore sanitario presente.

Per gli operatori sanitari imparare a conoscere le emozioni è fondamentale per potere gestire meglio i pazienti e i familiari. Gestire un’emozione significa comprendere il vissuto psicologico e fisiologico della persona, aiutarla validando quell’emozione, facendole capire che può provare paura, può provare rabbia, può provare imbarazzo, per poi relazionarsi in modo empatico e attento utilizzando delle tecniche relazionali e corporee (come la respirazione, il rilassamento, lo scarico fisico) che servono a riequilibrare lo stato emotivo del paziente e a migliorare l’approccio situazionale.

Gestire le emozioni vuol dire utilizzare un ascolto empatico, mettersi nei panni dell’altro per comprendere appieno i suoi vissuti e il perché di quella reazione emotiva che magari per noi è esagerata o mancante.

Ascoltare significa pensare che l’altro potrebbe aver ragione, sospendere quindi il nostro giudizio e soffermarsi attentamente su ciò che ci sta dicendo invece di pensare subito alla nostra possibile risposta. Se vogliamo gestire una emozione, rabbia, ansia, paura o dolore che sia, dobbiamo partire dall’ascolto attento ed empatico dell’altro e dall’assenza del giudizio. Solo se comprendiamo veramente ciò che prova il nostro interlocutore e gli rimandiamo la nostra considerazione possiamo sapere come rapportarci nel modo migliore con lui, come gestire la nostra emozione e provare a gestire la sua.

La metodologia IndiseOut si pone l’obiettivo di mettere in scena, tramite delle rappresentazioni audiovisive, il rapporto medico/paziente, facendo emergere in contemporanea le emozioni, in particolar modo quelle “nascoste” e “trattenute”.

La metodologia riprende l’artificio del “dentro/fuori” di Riley, la preadolescente protagonista del film “Inside Out”, e permette ai partecipanti, tramite l’alternanza “fiction” (rappresentazione della realtà) e “avatar” (rappresentazione del mondo interiore del paziente e delle sue emozioni più vere), di vedere «oltre» la paziente che hanno di fronte: potranno osservarla nel suo intimo come se potessero spiare i suoi pensieri.

L’obiettivo della metodologia è quello di ragionare sulla lettura delle emozioni e sul trasferire ai partecipanti la capacità di riconoscerle e i primi rudimenti su come aiutare i loro pazienti ad affrontarle.

Lo studio dei casi e la metodologia esperienziale del Cell

Lo studio di casi è la metodologia didattica storicamente più utilizzata in medicina. Con lo studio di caso, a partire da uno specifico e attuale problema, attraverso una documentazione ampia e diversificata, si mira a costruire nel discente del sapere e delle competenze sia cognitive che formative, in grado di indirizzarlo verso un modello diagnostico/terapeutico, attento al contesto, basato sulle evidenze e guidato da un pensiero critico.

È uno strumento didattico che offre al docente l’occasione di lavorare su diversi livelli:

• Livello delle conoscenze, con l’approfondimento della realtà attraverso la costruzione di dossier (articoli scientifici, linee guida, studi clinici, etc.)
• Livello formativo di acquisizione di procedure (selezionare, classificare documenti, gerarchizzare le informazioni, connettere, confrontare, formalizzare delle opinioni, condividere delle buone pratiche)
• Livello educativo di costruzione di un pensiero di eccellenza, di un pensiero sia critico che creativo, che includa la dimensione affettiva, cognitiva e volitiva.

Nello studio di caso, l’evento in quanto oggetto di studio viene “distanziato” e quindi sottoposto al vaglio critico e, successivamente, “decentrato”, nel momento in cui si mettono in gioco punti di vista e opinioni divergenti.
Il processo cognitivo che viene attivato è duplice, contestualizzare per comprendere, decontestualizzare per astrarre.
Lo studio di caso non è un contenuto, ma una strategia metodologica che mette al centro del lavoro la riflessione sulle problematiche. In questo processo ci si riferisce dunque ad una pedagogia interattiva e costruttivista e non semplicemente trasmissiva.

Metodologia Cell e problem based learning

Generalmente lo studio di caso in medicina viene effettuato attraverso il problem solving. Il caso clinico viene illustrato al discente che è chiamato a risolvere il caso utilizzando i supporti documentali messi a disposizione.

La metodologia del Cell (Center of Experiential Learning) è basata sullo studio di caso, ma con un approccio diverso orientato al problem based learning (Pbl) anziché al “problem solving”.

Il Pbl è una metodologia didattica nata nell’ambito della medicina negli anni 50 negli Stati Uniti e che si è diffusa in Europa tra gli anni 70 e gli anni 80. Essa prevede che nel processo di apprendimento il ruolo del discente sia attivo, ovvero che il discente non osservi il caso (problema) dall’esterno, ma che ne sia parte integrante e che lo viva con una partecipazione completa sia intellettiva sia emotiva. Il Pbl in medicina è paragonabile all’affiancamento e la formazione sul campo.

La realizzazione del Cell ha permesso un passo avanti nell’utilizzo del Pbl in medicina perché, grazie all’applicazione delle tecnologie più avanzate, è stato possibile costruire un simulatore di situazioni cliniche che consente al discente di vivere in tempo reale l’evoluzione della patologia del paziente in arco temporale medio- lungo.

In questo simulatore il discente si trova ad interagire con un paziente in tempo reale, come nella pratica clinica, e ha a disposizione tutte le informazioni delle quali normalmente dispone sul suo luogo di lavoro. Il percorso di simulazione prevede dei momenti nei quali il discente deve fermarsi a prendere delle decisioni diagnostiche o terapeutiche che andrà a verificare nel proseguo del caso clinico e con il supporto dei feedback del mediatore didattico che lo accompagna nel caso clinico.

Poiché tutto ciò è realizzato con tecniche multimediali in un ambiente immersivo, c’è un coinvolgimento totale del discente che entra a far parte di questo scenario virtuale accettandolo come reale (superamento della barriera del giudizio). Risulta quindi evidente che nel Cell viene portata all’estremo la dimensione psicologica della simulazione. Alla fine della simulazione del caso clinico, effettuata in piccolo gruppo, vi è una fase di debriefing e discussione in grande gruppo per condividere l’esperienza criticamente e dare rinforzo razionale all’esperienza fatta dai partecipanti durante la simulazione.

L’efficacia della formazione esperienziale è stata dimostrata dagli studi sull’apprendimento svolti alla fine degli anni Sessanta, che hanno permesso di classificare le principali metodologie didattiche, dividendole in due categorie: quelle basate sull’apprendimento passivo e quelle sull’apprendimento attivo. Il risultato di questo lavoro è stata l’elaborazione della piramide dell’apprendimento, che permette di confrontare le diverse metodologie didattiche in base alla percentuale di informazioni che vengono ricordate dal discente a distanza dall’evento formativo.

È interessante notare che le tecniche tradizionali trasmissive, ovvero la lezione frontale, consentono una memorizzazione dal 10 al 20% delle informazioni trasmesse, mentre le tecniche di apprendimento attivo, tra le quali l’osservazione e la partecipazione a situazioni (reali o simulazioni), fa passare questa percentuale al 75-90%.

Questo è un dato fondamentale che dimostra l’elevata efficacia delle tecniche di apprendimento attivo. La metodologia didattica Cell è basata sul ciclo di Kolbe ed è ispirata da una modalità di simulazione introdotta da Barrows nel 1963 per la formazione degli studenti della University of Southern California (USC) chiamata dallo stesso Barrows “paziente standardizzato”. Questo tipo di simulazione è uno standard per la valutazione non solo per gli studenti, ma anche per i medici strutturati. Grazie alle più moderne tecnologie multimediali utilizzate nel Cell, il modello del paziente standardizzato risulta potenziato nella sua efficacia didattica, in quanto la tecnologia consente di sfruttare al massimo i meccanismi di apprendimento scoperti dagli studi dei meccanismi neurologici dell’apprendimento degli ultimi trent’anni.

Le soluzioni che prevedono l’utilizzo dell’avatar digitale interattivo rappresentano una unicità e innovatività a livello metodologico in quanto la tecnologia consente di utilizzare un “Human patient digital” all’interno della simulazione di caso. La tecnologia digitale dell’avatar risponde alle interazioni in real time, mostrando un grado di risposte uguale a quelle di un vero paziente inserito in un contesto di visita all’interno di uno studio medico e mettendo in scena il ruolo delle emozioni del paziente, ricreando fedelmente gli stati d’animo tipici dell’essere umano.
L’avatar digitale interattivo è il prodotto tecnologico che introduce il concetto di tecnologia adattiva all’interno del Cell. Il modellamento grafico in real time del paziente permette un feedback visivo rispetto alle scelte diagnostiche e terapeutiche effettuate dai clinici nei vari snodi decisionali.

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