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La ricerca medica cerca strada nei Big Data

Si usa ormai dire i dati sono il “nuovo petrolio” che fa andare avanti le imprese, grazie alle tecnologie di machine learning che consentono di estrarre significato dai Big Data e che sono diventate un tema caldo per tutti i settori.

Ma non tutti allo stesso modo: ci sono ambiti che per loro natura sono rimasti un passo indietro rispetto agli altri e devono riguadagnare terreno. La ricerca medica è tra questi, rallentata da tecnologie e approcci legacy.

È un problema che ha molte sfaccettature ma che si concentra soprattutto su tre aspetti: la raccolta trasversale delle informazioni, gli strumenti tecnici a disposizione della ricerca medica e l’approccio alla gestione della conoscenza. L’elemento positivo è che diverse software house che lavorano nel campo del machine learning e i loro partner di settore stanno cercando di migliorare le loro soluzioni mirate per tutti questi elementi.

In generale, che i dati siano una risorsa fondamentale ovviamente non è un concetto nuovo nel campo della ricerca medica. È proprio dai dati scientifici che parte qualsiasi progetto di sviluppo, dalla creazione di un nuovo farmaco alla definizione di un nuovo trattamento.

L’elemento nuovo introdotto dal machine learning e dalle altre tecnologie collegate all’intelligenza artificiale è che l’approccio tradizionale alla ricerca molto mirata non va più bene. Gli strumenti di analytics possono estrarre un significato “migliore” dalle informazioni se queste sono trasversali e consentono quindi una visione più ampia, alla ricerca di potenziali correlazioni fra eventi e parametri diversi.

Dal punto di vista tecnico questo può voler dire ripensare l’approccio alla raccolta e alla gestione delle informazioni collegate alla ricerca medica, in modo che siano più “digeribilii” per i sistemi di intelligenza artificiale. È una evoluzione dei sistemi che porta alla luce subito un’altra questione: l’usabilità.

Come in altri settori, infatti, anche nella ricerca medica adottare soluzioni di Big Data analytics può richiedere competenze che non si possiedono. Alcune imprese possono permettersi di avere i propri data scientist, in ambito clinico questo è raramente possibile e servono quindi soluzioni più “amichevoli”. Un fenomeno già visto in altri ambiti e che coinvolge gli algoritmi di machine learning: sono questi a estrarre significato dai dati senza che gli utenti debbano diventare esperti di discipline diverse dalla propria.

Nel campo della ricerca medica il vantaggio di questa automazione è ancora maggiore che in altri, perché l’analisi delle informazioni è proprio il “core business” del ricercatore. Fare in modo che gli algoritmi lo sgravino dalla parte più operativa significa metterlo in grado di dedicare il suo tempo alla parte più a valore aggiunto, ad esempio lo sviluppo di una cura.

Machine learning in autonomia

L’approccio che comprende Big Data e machine learning apre poi le porte a un nuovo “tipo” di ricerca medica. Ci sono migliaia di terabyte di dati scientifici che sono distribuiti in progetti di ricerca distinti, trial clinici, pubblicazioni… Nessun ricercatore umano potrebbe mai analizzarli tutti o anche solo una minima parte, alla ricerca di correlazioni utili non ancora riconosciute o anche semplicemente per risolvere una specifica ricerca di informazioni. Gli algoritmi di machine learning invece possono farlo e in molti campi lo hanno già fatto, arrivando autonomamente a risultati che sarebbero stati impossibili per un operatore umano.

La “Big Data economy” è destinata quindi a cambiare anche la ricerca medica. L’adozione di nuove piattaforme per la gestione e l’analisi dei dati in questo caso non ha uno scopo prettamente commerciale – anche se le ricadute in tal senso certamente ci sono – ma permette di ridurre il tempo necessario a definire nuove terapie. Anche per patologie rare, che normalmente avrebbero richiesto troppo tempo per essere affrontate, o per lo sviluppo di trattamenti più personalizzati.

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