
L’innovazione sviluppata dalla startup pisana INTA consentirà alla diagnostica d’emergenza di diventare presto più maneggevole, rapida e funzionale. Fondata nel 2020 come spinoff della Scuola Normale Superiore di Pisa e del CNR-Nano, INTA ha sviluppato un sistema portatile in grado di realizzare diagnosi di traumi cerebrali in tempi molto celeri sfruttando la nanoelettronica avanzata, la biotecnologia e l’intelligenza artificiale. I dati raccolti dal dispositivo di INTA permettono infatti di operare analisi simultanee di un massimo di sei biomarcatori, contemporaneamente, presenti nei fluidi biologici dei soggetti traumatizzati attraverso un semplicissimo test del sangue. Il medical device è quindi ideale per l’impiego su ambulanze, in pronto soccorso e per interventi in aree remote giacché riduce gli esami superflui ottimizzando i tempi di intervento. Offre dunque la possibilità diagnostica nei traumi cranici dovuti a incidenti stradali, contesti sportivi pericolosi e aggressioni con tempi decisamente ridotti e costi molto contenuti.
Il sistema NanoAnalyzer: la parola all’inventore
Il dispositivo portatile sviluppato da INTA si chiama NanoAnalyzer e si compone di un lettore e di una cartuccia usa e getta da impiegare in loco, ovunque ci si trovi. La cartuccia viene inserita nel dispositivo per iniziare una fase di misurazione che dura poco più di mezz’ora e fornisce un’analisi molto approfondita del danno cerebrale. La cartuccia contiene infatti un chip sul quale sono integrati dei sensori di onde acustiche, di quelli comunemente impiegati nel settore delle comunicazioni e basati sulla tecnologia SAW, Surface Acoustic Wave, la stessa usata nei touch screen e che si basa sull’assorbimento o sulle variazioni di onde acustiche che viaggiano sulla superficie di un materiale elastico, come potrebbe essere il tocco del dito su uno schermo. In questo caso il materiale è il fluido ematico.
Il sistema riesce a riconoscere contemporaneamente ben sei biomarcatori specifici di lesione cerebrale traumatica attraverso un semplice esame del sangue, fornendo risultati rapidi, non invasivi e precisi. Essendo tutto integrato in una cartuccia monouso molto economica, il sistema può essere utilizzato da personale non specializzato trasportando il lettore in qualsiasi luogo, colmando il divario tra i test rapidi, a basso costo, ma con prestazioni limitate, e i test di laboratorio ad alte prestazioni, ma assai dispendiosi, come ad esempio la TAC.
Data la portata rivoluzionaria di questo dispositivo, INTA ha chiuso tre round di investimento nell’ultimo biennio, ha già realizzato due aumenti di capitale e sta preparandosi al terzo, segno evidente che la soluzione sta attirando l’attenzione del mercato. Cerchiamo di capire di più di quest’innovativo sistema insieme al suo proprietario e inventore, Matteo Agostini, CEO e co-founder di INTA.

In quale fase di sviluppo del prodotto siete attualmente? Ancora nel prototipo o già nella linea di produzione?
Abbiamo certificato la nostra soluzione a scopo di ricerca a fine luglio 2025, quindi siamo ancora in una fase di preproduzione, diciamo una produzione pilota, nella quale riusciamo a gestire solo piccoli numeri. Abbiamo tuttavia un piano di crescita abbastanza serrato per poter scalare velocemente la produzione e arrivare, già nel 2027, a ottenere la certificazione del prodotto come dispositivo medico, la cosiddetta “IVDR”. A quel punto la produzione potrà salire ad alcune migliaia di lettori e centinaia di migliaia di cartucce. Ma la cosa più interessante è che la nostra tecnologia è applicabile anche ad altri settori, non necessariamente medicali, come ad esempio quello del monitoraggio ambientale. Ciò ci permetterà di allargare il ventaglio di applicazioni immettendo sul mercato altri dispositivi più specifici.
Ci spiega quale ruolo giocano i chip che lavorano su sensori di onde acustiche di superficie?
Sostanzialmente i chip emettono onde acustiche con frequenze ben definite che producono una vibrazione meccanica influenzata dall’interazione con l’ambiente che li circonda, in questo caso un fluido corporeo. Questi chip sono ingegnerizzati in modo tale per cui le onde acustiche vengano modificate dall’adesione ai marcatori che vogliamo trovare nel plasma sanguigno. Il sensore di INTA rileva la variazione di frequenza nella vibrazione delle onde acustiche quando gli anticorpi legati alla superficie dei sensori entrano in contatto con le molecole da misurare, cioè i marcatori contenuti nel sangue. Il sistema non fa altro che leggere le modifiche delle onde acustiche stesse con lo stesso chip che le emette. È come se andasse a monitorare una risposta di rimbalzo. Ma la cosa peculiare del nostro dispositivo, che poi è l’oggetto principale del brevetto, è il fatto che con le stesse onde acustiche, oltre a misurare la presenza di marcatori, noi possiamo rimescolare il liquido sul chip con la stessa tecnologia e in maniera estremamente efficiente. Quindi acceleriamo molto i processi di risciacquo o di legame proprio di questi marcatori. Difatti, in dispositivi così piccoli (pochi millimetri quadrati, ndr) non esistono turbolenze nei liquidi che velocizzano i rimescolamenti di reagenti e anche la rimozione di materiale indesiderato sulle superfici. È la magia della cosiddetta microfluidica. Noi introduciamo artificialmente turbolenze dall’esterno con le onde acustiche, le stesse che poi misurano i marcatori. Abbiamo così una soluzione all-in-one, un vero laboratorio on-chip.
Il sistema integra inoltre tecnologie di statistica multivariata e intelligenza artificiale, permettendo l’analisi di pattern molto complessi. Le informazioni provenienti dai biomarcatori generano infatti enormi quantità di dati e solo grazie alla statistica multivariata è possibile analizzarli identificando relazioni e pattern che non sarebbero gestibili con l’analisi univariata. Questi pattern vengono poi associati a specifiche condizioni mediche, consentendo al dispositivo di fornire diagnosi rapide e monitorare l’efficacia dei trattamenti. In questo modo tutto il sistema impara sempre meglio e diventa sempre più fine nella diagnosi. I dati vengono poi archiviati in un solido database cloud che è accessibile in qualsiasi momento e ovunque.
Nel momento in cui siete usciti come spinoff universitario avevate un livello di maturità tecnologica non alto, nessun dispositivo da presentare al mercato ma potevate vantare importanti pubblicazioni scientifiche. Come avete fatto a trovare i fondi per la crescita aziendale e lo sviluppo del prodotto?
Quando abbiamo aperto l’azienda e raccolto i primi fondi, l’abbiamo fatto in un periodo nel quale il mercato degli investimenti in Italia muoveva i primi passi in questo settore. Si trattava di pochi fondi e il volume degli investimenti circolanti in quegli anni era ancora piuttosto modesto. Ma il brevetto (WO 2020/144620), insieme ai numerosi paper scientifici, era già piuttosto appetibile. Devo dire la verità: siamo entrati in contatto subito con uno dei fondi più interessanti per quanto il finanziamento di iniziative deep tech, cioè con una forte radice tecnologica non incrementale. Si tratta di Eureka! Venture che, insieme ad A11 Venture, una holding toscana, ha subito riconosciuto la bontà del nostro progetto. Oggi la situazione è diversa, il mercato degli investimenti di startup in Italia è sicuramente più grande, e sfiora quasi i 2 miliardi di euro. Deve ancora maturare, senza dubbio, però diciamo che è un contesto un po’ più strutturato e forse iniziative come la nostra potrebbero fare un po’ meno fatica di quello che abbiamo fatto noi, almeno nelle fasi iniziali.






