
C’è grande apprensione per la nuova normativa che regolamenterà le terapie digitali (DTx) in Italia, in modo simile a quanto già avvenuto in molti Paesi europei negli anni passati. La proposta di legge presentata da Simona Loizzo a giugno 2023, e attualmente in discussione alla Camera, intende disciplinare questo nuovo ambito dell’healthcare e offrire una serie di vantaggi che vanno molto oltre la definizione di standard di evidenza scientifica o la mera classificazione tecnica dei vari digital therapeutics.
La proposta di legge Loizzo permetterà infatti di definire in maniera precisa che cosa s’intende davvero per “DTx”, individuando al contempo gli ambiti di intervento in cui queste possono essere adottate, vale a dire i diversi Percorsi diagnostico terapeutici assistenziali (Pdta), oltre a indicare i relativi Livelli essenziali d’assistenza (Lea) che il servizio sanitario nazionale è tenuto a fornire a tutti i cittadini. Cerchiamo allora di comprendere insieme a Paola Minghetti, docente del dipartimento di Scienze farmaceutiche dell’Università degli studi di Milano e grande esperta di tecnologia e legislazione farmaceutica, quali ostacoli verranno finalmente superati grazie a questa nuova normativa.
Il disegno di legge cerca di sorpassare il vecchio inquadramento del 2017 che fa confluire le DTx nella generica categoria dei dispositivi medici. È questo l’obiettivo principale della proposta o ce ne sono anche altri?
Sicuramente l'obiettivo principale di questa proposta è di identificare bene che cosa s’intende per digital therapeutics, cioè quelle soluzioni e quegli interventi terapeutici guidati da programmi software creati per prevenire, gestire o curare un disturbo o una malattia, e che quindi possono essere prescrivibili dal medico all’interno del Servizio Sanitario Nazionale.
Un concetto, quello dei “digital therapeutics”, apparentemente facile e intuitivo, ma che non è chiarissimo proprio perché ogni singola soluzione dovrà garantire l’efficacia, la sicurezza, la qualità e l’affidabilità nel corso del tempo, oltre a individuare nuove terapie da inserire nei Livelli essenziali di assistenza.
Tuttavia il vero problema, visto in filigrana, è che ci troviamo di fronte a una classe di prodotti costantemente in evoluzione, e il rischio è che alcuni aspetti della nuova normativa possano diventare rapidamente obsoleti visto il dinamismo del cambiamento tecnologico in atto in questo particolare ambito medico. È come se la fotografia fatta oggi a questo comparto si fosse già sbiadita nel momento in cui la norma entrerà in vigore.
Ma l’obiettivo vero, il più sentito, è quello della rimborsabilità di questi prodotti. Non essendo farmaci ma avendo una funzione alternativa o complementare al farmaco, sono infatti molto diversi dai classici dispositivi medici. Occorre quindi normarli. E qui le cose si complicano dal momento che mancano attualmente delle linee guida e delle regole precise che consentano la prescrivibilità di soluzioni spesso molto efficaci, e a volte già regolarmente sul mercato. In poche parole, la ricerca scientifica c'è, le sperimentazioni e i trial clinici sono stati ampiamente realizzati e comprovati e i prodotti iniziano ad arrivare. Ma manca la rimborsabilità. E alla fine chi rischia di rimetterci è il paziente.
Quindi il disegno di legge è massimamente concentrato su come definire i requisiti per il rimborso delle DTx…
Chiaramente.
Sorge allora il problema di come definire quali terapie digitali siano meritevoli di rimborsabilità e quali no. Come verrà risolto? C’è il rischio di escludere interventi terapeutici valevoli, non crede?
Verrà creato a questo scopo un osservatorio permanente sulle terapie digitali che avrà il compito, tra gli altri, di definire quali terapie digitali rientrino nei canoni della rimborsabilità e perché. L’osservatorio sarà diretto da Agenas, l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali, e sarà composto da un rappresentante del Ministero della Salute e da un membro dell’Aifa, l’Agenzia italiana del farmaco. Occorre sottolineare che sulla categoria dei dispositivi medici Aifa non ha alcuna competenza. Tuttavia i digital therapeutics, come dicevamo, potrebbero essere considerati complementari o alternativi ai farmaci. Sui dispositivi medici ha invece competenza il solo Ministero. Quindi vedremo nel prosieguo dell’iter di approvazione della legge quale organo pubblico avrà poi il compito di gestire la fattispecie dei DTx. È chiaro che le maglie di questo processo di valutazione e selezione dipenderanno anche dall’entità di risorse allocate dal Governo per queste nuove forme di prescrivibilità. Il fatto che una soluzione DTx sia valida ed efficace non significa infatti che lo Stato la possa o la voglia rimborsare.
E chi avrà il compito “terzo” di asseverare test clinici già validati da istituti di ricerca, università pubbliche e private, insomma titoli importanti di cui molti DTx possono vantarsi?
Per questo genere di valutazioni credo che entrerà in campo tutto il bagaglio di competenze proprie dell’Hta (Health technology assessment), l’approccio multidisciplinare che fa capo ad Agenas che, oltre a dimostrare la bontà della nuova soluzione terapeutica, la sua efficacia e sicurezza, nonché l’impatto sociale e organizzativo, avrà anche il compito di valutare la sussistenza di un adeguato rapporto costo-beneficio.
L’Italia è molto in ritardo rispetto ad altri Paesi nell’integrare le DTx nel sistema sanitario nazionale. Possiamo mutuare qualcosa da loro, ad esempio dalla Germania, che è partita nel 2019?
La Germania è più avanti di noi, sicuramente, ma dobbiamo ricordare che presenta un sistema sanitario completamente diverso dal nostro. Sia per quanto riguarda la gestione economica dei farmaci, sia per quella dei medical device. È quindi obiettivamente difficile fare un paragone con l’Italia. Tanto per cominciare il sistema sanitario tedesco è basato sull'obbligo di un’assicurazione sanitaria, che può essere pubblica o privata, mentre in Italia la copertura è automatica per tutti i cittadini residenti ed è garantita dalla fiscalità generale. Inoltre in Germania la gestione delle infrastrutture mediche e degli investimenti è delegata ai singoli Länder, mentre in Italia tutti i servizi sanitari sono coordinati attraverso un unico Ssn. Detto questo, possiamo sicuramente imparare e mutuare idee da tutti i Paesi che sono partiti prima di noi, ma facendo i dovuti distinguo.
E potremmo imparare qualcosa dalla Germania in termini di fluidità burocratica e rimborsabilità?
In tema di rimborsabilità, il sistema tedesco ha saputo organizzare un ottimo sistema di “fast track”, cioè una procedura accelerata di approvazione e rimborso delle DiGA (Digitale Gesundheitsanwendung), le app medicali digitali, un po’ l’equivalente delle nostre DTx, che sono considerate idonee per il rimborso secondo i criteri del Dvg (Digitale-versorgung-gesetz), che è la legge tedesca di riferimento in ambito healthcare. Si tratta sostanzialmente di un iter rapido per la valutazione, l'approvazione e il rimborso delle DiGA da parte dell’Ufficio federale per i medicinali e i dispositivi medici, il BfArM (Bundesinstitut für Arzneimittel und Medizinprodukte). Il processo valuta la sicurezza, la qualità, la protezione dei dati e soprattutto l’evidenza di un effetto positivo sul piano terapeutico e assistenziale. Se l'app o il device medico soddisfano i requisiti, vengono inclusi nel registro delle DiGA in maniera provvisoria o permanente già dopo soli tre mesi dalla richiesta. E subito dopo l'inclusione in uno dei due registri, viene negoziato un prezzo tra il produttore e l'ente nazionale che gestisce le casse malattia di natura pubblica. Ciò permette la rapida prescrizione da parte dei medici e il rimborso immediato da parte delle assicurazioni sanitarie.
Ma da noi questo sistema potrebbe mai funzionare?
Impossibile. Quello tedesco è stato il modello a cui si sono ispirati alcuni Paesi europei come la Francia, il Regno Unito o il Belgio, soprattutto per via dell’esclusiva procedura accelerata di approvazione e rimborso. È chiaro che il percorso normativo attuato in Germania ha generato un quadro che facilita l'accesso dei cittadini tedeschi alle terapie digitali, influenzando notevolmente le politiche di rimborso anche in altri Paesi. Ma non dobbiamo mai dimenticare che il paradigma “universalistico” del nostro Servizio sanitario nazionale è assai diverso da quello basato sul rimborso da parte delle assicurazioni sanitarie, siano esse pubbliche o private. Da noi quel sistema non potrebbe mai funzionare perché sarebbe del tutto insostenibile per le casse dello Stato.






