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Bioprinting 3D anche di tessuti vascolarizzati, grazie alle staminali

Diversi centri di ricerca stanno portando avanti progetti legati al bioprinting 3D, ossia alla stampa 3D utilizzando come materiale di partenza cellule viventi. Si tratta di un campo per il quale si prevedono, nei prossimi decenni, importanti applicazioni cliniche che comprendono anche la medicina rigenerativa, cioè la possibilità di usare cellule staminali per far sviluppare tessuti e anche organi trapiantabili senza problemi di rigetto.

Da questo punto di vista però il bioprinting 3D ha sempre presentato un limite. Non è un problema “spingere” le cellule staminali a formare tessuti specifici, lo è sviluppare tessuti che siano anche vascolarizzati. E senza capillari che portino sostanze nutrienti ed eliminino rifiuti, qualsiasi tessuto finisce per morire.

Ora però un team di ricercatori della Rice University e del Baylor College of Medicine ha sviluppato un nuovo approccio che combina il bioprinting 3D con la giusta combinazione di cellule e nutrienti per dare il via alla tubulogenesi nei tessuti, il primo passo verso la formazione di capillari.

In estrema sintesi, il risultato più significativo del lavoro dei ricercatori è stato arrivare a una combinazione di due tipi diversi di cellule staminali per cui la formazione dei “progenitori” dei capillari è favorita anche all’interno di un gel semisolido derivato dal collagene (GelMA). Si tratta di un risultato significativo perché il GelMA è particolarmente adatto alla fotopolimerizzazione e quindi in generale al bioprinting 3D.

Siamo ovviamente ancora lontani dal bioprinting 3D di interi organi, ma gli sviluppi presentati dai ricercatori sono interessanti per applicazioni più semplici e più a breve termine. Ad esempio poter realizzare in stampa 3D campioni di tessuti vascolarizzati agevolerà i test sul funzionamento e l’efficacia dei medicinali, dato che questo nuovo tipo di tessuti si comporta in maniera molto più fedele alla realtà delle attuali colture bidimensionali.

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