Nel mondo medico e scientifico si parla sempre più spesso dell’intelligenza artificiale come strumento per leggere e interpretare in modo più rapido ed efficiente la mole di dati oggi disponibili nei diversi ambiti della sanità, grazie alle cartelle cliniche elettroniche, ai database informatici e così via.
Tra i vari strumenti di intelligenza artificiale c’è la machine learning, che permette di analizzare i dati, riconoscerne le caratteristiche e “apprendere” dal loro esame. Questi strumenti riescono inoltre a stabilire connessioni tra i diversi dati e fare delle predizioni, senza però essere anticipatamente programmata per fare questa attività.
«L’ambito sanitario – sottolinea Nicoletta Musacchio, presidente della Fondazione dell’Associazione Medici Diabetologi – è uno di quelli più complessi, nel quale accanto ai dati meramente anagrafici e clinici del paziente occorre tenere in considerazioni un’infinità di altre informazioni, di carattere ambientale, genetico e tanto altro ancora. Le variabili da tenere in considerazione non sono solo di carattere “numerico”, ma assai più ricche. Per poterle utilizzare al meglio, occorre servirsi proprio delle machine learning e dell’intelligenza artificiale nel suo complesso. Se ben governate, infatti, queste piattaforme di intelligenza artificiale possono essere aiuto fondamentale per orientare le scelte sanitarie e, insieme, rendere sempre più personalizzato anche l’approccio al diabete nel singolo paziente».
Il tema è tanto caro alla dott.ssa Musacchio, che ne ha fatto argomento del suo progetto di presidente di AMD, nel biennio precedente, e ora oggetto di un progetto di sperimentazione che dovrebbe dare i primi dati proprio in questo 2019.
«L’idea – riprende Musacchio – è usare la piattaforma sui dati presenti nel nostro database per verificare se le capacità predittive dell’intelligenza artificiale possono essere efficienti in medicina. Usando dati di pazienti per i quali abbiamo già gli outcome e il follow-up, possiamo verificare se quanto predetto dalla intelligenza artificiale sia davvero realizzato oppure no. L’intento è anche individuare i rischi associati a questi strumenti – il cui uso in medicina deve essere fortemente rigoroso ed evidence based – e i vantaggi che potrebbero dare».
Si tratta di un progetto, quindi, che si proietta in un futuro non troppo lontano in cui queste intelligenze potranno supportare il lavoro dei clinici. Un progetto ampiamente presentato da Musacchio ai soci di AMD in un position statement durante l’ultimo convegno dell’Associazione. «Questo Position Statement vuole dare modo ai nostri soci di avvicinarsi a questi temi e farli propri, così come la biblioteca che abbiamo opportunamente allestito», sottolinea Musacchio.
Big data e archivi AMD
Riprende Nicoletta Musacchio: «quando si parla di big data si fa riferimento a un insieme talmente numeroso e complesso di dati da richiedere, come già detto, strumenti ad hoc per poterli estrapolare, gestire e processare entro un tempo ragionevole. Inoltre, i big data possono rappresentare anche l’interrelazione di dati provenienti da fonti eterogenee, quindi non soltanto strutturati, come immagini o altre informazioni prese da qualsivoglia altra fonte, che possono catturare informazioni cliniche incorporate nel dato stesso».
Se AMD vuole avviarsi sulla strada della sperimentazione della intelligenza artificiale in Diabetologia è anche perché ha dalla sua la forza di un ampio database informatico.
«La nostra Associazione», continua Musacchio, «ha avuto già in tempi lontani l’intuizione di comprendere l’importanza di standardizzare la registrazione del lavoro clinico quotidiano in una cartella elettronica: ne è nata la raccolta e l’elaborazione di informazioni real life sulla cura, esami, complicanze e terapia, per una interpretazione qualitativa dell’assistenza reale sul territorio nazionale».
Come funziona? I servizi di Diabetologia che sono associati con AMD hanno un software offerto dalla stessa associazione con cui estrarre dai dati delle loro cartelle cliniche elettroniche un set di dati. «Il database ottenuto è quindi utilizzato per il calcolo degli indicatori di qualità della cura sia a livello centralizzato sia a livello locale. In questo modo viene promossa un’attività di benchmarking basata sul confronto della propria performance con quella registrata a livello nazionale (approccio best performer). Questa attività, che riflette la performance professionale dei diabetologi ed è perfettamente in linea con quanto raccomandato dal Piano Nazionale Diabete, ha prodotto negli anni un miglioramento sistematico di tutti gli indicatori considerati e si è rivelata cost-effective», assicura Musacchio. Lo stesso database è stato inoltre utilizzato nel tempo per la produzione degli Annali AMD, partiti nel 2006, in cui si valuta sia la qualità dell’offerta sanitaria rivolta ai malati di diabete nel nostro Paese sia i profili assistenziali delle persone con diabete tipo 1 (DMT1) e diabete tipo 2 (DMT2) seguite presso i servizi di diabetologia italiani».
Esiste infine un altro aspetto di questo database che ha permesso ad AMD di avvicinarsi al mondo dei big data e della loro analisi: le informazioni in esso contenute possono essere utilizzare per approfondire diversi aspetti chiave della malattia diabetica, dalla sia cura nel paziente anziano, alle differenze di genere, agli aspetti cardiologici, renali ed epatici, fino ad arrivare alla appropriatezza di utilizzo dei farmaci e dell’autocontrollo glicemico.
«Analizzati in questo modo, i dati ci hanno permesso di fare una fotografia reale del nostro operato e, anche e soprattutto, di identificare le aree critiche di comportamento per poi migliorarle attraverso processi ideati ad hoc. Quanto di più si potrebbe fare usando le machine learning per analizzare i nostri dati?».
I vantaggi dell’uso della intelligenza artificiale in Diabetologia
Le capacità degli strumenti di intelligenza artificiale sono tali da trasformare i dati disponibili non solo in conoscenza (descriptive), un modello al quale siamo già abituati, ma anche in modo predittivo, ovvero identificando i fattori che “condizionano” il comportamento e le correlazioni tra i dati, fino ad arrivare a identificare i fattori chiave in grado di facilitare un miglioramento dei risultati attesi (prescriptive).
«Per fare un esempio concreto», riprende Musacchio, «non solo possiamo approfondire la conoscenza in modo “evidence” sui fattori di rischio delle complicanze, ma anche individuare i collegamenti tra i diversi indicando la probabilità con cui questi fattori possono incidere sull’evoluzione della malattia su precisi gruppi di soggetti. Algoritmi di apprendimento automatico, opportunamente “addestrati”, sono capaci di analizzare milioni di dati e cercare correlazioni probabilistiche di rischio, non solo per studiare il propagarsi di un’epidemia e/o per individuare le nuove terapie personalizzate. Volendo spingerci oltre, nell’ipotesi sempre più realistica di linkage tra le diverse banche dati presenti in Sanità (dati amministrativi, di processo assistenziale, di esito intermedio e finale, di costi), ci potremo permettere di fare valutazioni a tutto tondo dell’intero processo di cura e anche per il singolo paziente in termini di: efficacia clinica, efficacia organizzativa, sostenibilità, equità. Questo risultato ci vedrà in un breve futuro, attori proattivi dell’intero sistema e artefici di processi di miglioramento dell’assistenza delle persone affette da diabete che è e rimane la nostra mission».
Uno stralcio del Position Statement di AMD riporta: «In campo diabetologico questi strumenti di analisi (o machine learning) potrebbero individuare nuovi fattori di rischio sia nell’insorgenza del diabete sia nell’insorgenza delle complicanze, sia indirizzare nelle scelte terapeutiche. L’ulteriore sofisticazione nell’esame dei dati è l’analisi prescrittiva: i software di machine learning in grado di esplicitare le regole alla base dei modelli predittivi consentono delle simulazioni di tipo what-if per capire se e come, attraverso la modifica di alcuni fattori, si possano migliorare gli outcome, selezionando in questo modo i comportamenti ottimali».
La questione ha anche una certa importanza gestionale. Se infatti si vuole che tutti i malati presenti e futuri di diabete possano accedere alle terapie, occorre utilizzare al meglio le risorse a propria disposizione.
La stratificazione ottenuta con la intelligenza artificiale permette di decidere quali sono le manovre preventive adatte a tutti i cittadini, per esempio, ma al contempo di selezionare i soggetti predisposti a sviluppare, per esempio, problematiche renali. Pazienti che saranno avviati subito verso un percorso di prevenzione secondaria, per evitare che l’evento “danno ai reni” si manifesti. Lo stesso vale per piede diabetico, cardiopatie da diabete e così via. E non finisce qui. Musacchio evidenzia: «grazie alla intelligenza artificiale e ai big data i diabetologi (e così sarà anche per le altre specialità) potranno passare dall’essere dei semplici medici che prescrivono dei farmaci a essere dei facilitatori del sistema, in qualche modo individuando gli aspetti critici nei percorsi di presa in carico dei pazienti e suggerendoli alla politica sanitaria per investimenti mirati e di certa efficacia».
Un ruolo davvero interessante che consentirebbe di migliorare l’uso delle poche risorse a disposizione del SSN. Perché tutto ciò funzioni occorre però una collaborazione seria da parte dei servizi di diabetologia associati e di coloro che inseriscono i dati in cartella clinica.
«Se dai database generati si possono fare analisi e previsioni che permettono di orientare le scelte sanitarie e terapeutiche del medico, la raccolta dei dati deve essere di per sé estremamente rigorosa, perché è alla base di tutto il processo successivo. Un tema che non deve mai essere dimenticato e su cui occorre continuare a fare formazione e a controllare», conclude Musacchio.