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Robotica e telemedicina, se le conosci le adotti

Eventi mediatici recenti hanno contribuito a portare alla superficie alcune esperienze di successo dell’introduzione dell’hi-tech e della robotica nel settore della sanità, a vario titolo, chiarendo che una collaborazione fra uomo e macchina è possibile purché si possiedano gli strumenti adatti.

È stato quanto mai significativo il titolo della tavola rotonda che al recente evento milanese Focus Live ha coinvolto il professor Placido Bramanti dell’Irccs Centro Neurolesi Bonino Pulejo di Messina. Il talk che ha visto fra i suoi protagonisti il direttore dell’Irccs siciliano (“Se il tuo collega è un robot”) ha avuto come argomento principe le possibilità di collaborazione fra l’uomo e macchine dalle abilità sempre più raffinate.

Un tema di scottante attualità che interseca però, giocoforza, anche altre fra le più importanti tendenze che interessano il sistema e i servizi sanitari in Italia come altrove. E che portano con sé naturalmente un notevole bagaglio di sfide.

Anzitutto, per quel che concerne la sola robotica, è fondamentale comprendere in quanti e quali ambiti o circostanze la cooperazione fra i professionisti della medicina e gli automi possa dirsi davvero fruttuosa ed efficace. A seguire, è doveroso dissolvere gli spettri di una possibile e progressiva sostituzione dei primi da parte dei secondi, in una varietà di mansioni. Creando, attraverso la formazione, una nuova generazione di clinici preparati per gestire al meglio un modello inedito di interazione.

Guardando al quadro più ampio dell’introduzione sempre più massiccia dell’hi-tech in sanità, è bene riflettere sul futuro di processi innovativi incompiuti come la telemedicina. Il professor Bramanti ha affrontato via via tutte queste tematiche, partendo proprio dalle esperienze maturate finora sul territorio messinese.

Dalla degenza alle cure a domicilio

Qui si sta man mano componendo un mosaico che include una pluralità di servizi e che parte dal ricorso ai robot per alcuni interventi chirurgici per arrivare a percorsi di recupero funzionale e di riabilitazione a domicilio. Quel che più conta è però che le sperimentazioni compiute hanno avuto successo e si sono dimostrate benefiche sia da un punto di vista clinico sia sotto l’aspetto economico. Ed è alla luce di queste evidenze che l’intenzione dell’Irccs Bonino Pulejo è di continuare a innovare nel segno di una sempre maggiore efficienza.

Placido Bramanti

Ha riferito il professor Placido Bramanti, «abbiamo riferito dell’utilizzo in chirurgia mininvasiva del robot chirurgo. A quest’ultimo abbiamo assegnato anche mansioni di riabilitazione neurologica, motoria e cognitiva robotizzata e in realtà virtuale. Accanto al robot chiururgo, pur se in campi e con finalità differenti, stiamo usando un secondo robot che permette ai medici di monitorare i pazienti anche a distanza. La tele-riabilitazione basata sulla fornitura di servizi dedicati a distanza, attraverso gli strumenti offerti dalla tecnologia dell’informazione e della comunicazione, è un ulteriore traguardo da noi raggiunto, nel tentativo di trasferire la cura riabilitativa dall’ospedale a casa dei pazienti».

Per la struttura siciliana si è trattato di un autentico uovo di Colombo che ha consentito al management di armonizzare la richiesta di assistenza con la disponibilità di risorse umane e con le necessità del bilancio economico. «Tramite l’impiego della robotica in riabilitazione», ha proseguito Bramanti, «siamo riusciti a fronteggiare una domanda di risorse umane ed economiche da indirizzare alla terapia riabilitativa che è oggi in netto incremento. Al contempo abbiamo potuto introdurre dei protocolli di recupero decisamente più efficaci e a ridimensionare in misura significativa i tempi previsti per il recupero stesso. Senza tralasciare la razionale distribuzione degli oneri e dei compiti a carico dei professionisti specializzati».

Digitalizzazione contro le cronicità

Applicate alla neuro-riabilitazione, inoltre, le soluzioni di telemedicina «ci hanno dato modo di abbattere le distanze» fra curanti e pazienti «e per conseguenza la durata stessa della degenza in ospedale». Quel che ne ha decisamente guadagnato è stata la qualità delle cure, oggi più pienamente garantita, secondo Placido Bramanti, «anche sui territori disagiati e più lontani dai centri ospedalieri».

Non c’è quindi da dubitare che l’Istituto di ricerca continui nel prossimo futuro ad arricchire il suo parco tecnologico, anche in contrasto con alcuni trend forse più diffusi e consolidati.

«Negli ultimi anni», ha riflettuto il direttore scientifico, «abbiamo visto aumentare gli investimenti soprattutto in campo diagnostico. Ma il settore dove ritengo si debba fare uno sforzo maggiore in termini di investimenti in sanità è quello della medicina digitale, perché è l’unico in grado di giocare la partita-chiave delle cronicità».

Quello sperimentato e narrato dall’Irccs non rappresenta senz’altro un caso isolato nel panorama sanitario nazionale, dal quale è ciononostante lecito attendersi parecchio di più. Questa è perlomeno l’impressione dell’intervistato.

«Purtroppo», ha riflettuto, «in Italia le esperienze della telemedicina e della robotica non godono a tutt’oggi della diffusione capillare che meriterebbero, ma sono in gran parte ancora applicate in via sperimentale e a scopo di pura ricerca. Infatti, il percorso per l’integrazione di innovazioni mediche nella pratica clinica richiede tempo e investimenti ingenti. È a mio avviso indispensabile pertanto portare avanti progetti mirati e tali da contribuire ad accelerare il processo di innovazione robotica e digitale nel settore sanitario, assicurando così benefici tangibili in termini di qualità dei servizi e nel rapporto tra assistenza sanitaria e paziente. D’altra parte, i paradigmi virtuosi ai quali ispirarsi sono tutto sommato numerosi. Quando parliamo di innovazione in sanità a 360 gradi ritengo che i modelli internazionali cui guardare siano quelli di Gran Bretagna e Stati Uniti per la telemedicina; di Giappone, Israele e Olanda per l’evolversi della robotica».

Robotica, spazio al training

È probabile che la più massiccia e capillare presenza di sistemi robotizzati e piattaforme per la telemedicina possa concretizzarsi con l’avvento di una nidiata di medici e terapisti già abituati a confrontarsi senza remore né esitazioni con l’innovazione più rivoluzionaria. Come accade anche altrove e non solamente nel settore della medicina, la formazione è attesa a giocare un ruolo fondamentale.

«L’introduzione di percorsi formativi finalizzati alla collaborazione con i robot e più in generale con le tecnologie innovative in sanità», è il parere di Bramanti, «dovrebbe già partire dai corsi universitari di specializzazione. Il sistema universitario italiano appare però ancora troppo ancorato alle metodologie formative più tradizionali e sino a questo momento poco aperto all’introduzione di nuove tecnologie, se non esclusivamente in un ambito più prettamente legato alla ricerca scientifica. Proprio per questo motivo gli operatori sanitari che presso il nostro Irccs si apprestano a operare con risorse e strumenti robotizzati o digitali ricevono una puntale e costante formazione; e a fornirla sono in prima persona proprio le aziende produttrici o rivenditrici di soluzioni di area healthcare».

Passa anche per il training la possibilità effettiva di rispondere al quesito iniziale sul che fare quando ci si trova a lavorare fianco a fianco con una creatura meccanica antropomorfa.

«Noi medici», è la convinzione di Bramanti, «dobbiamo essere a tutti gli effetti pronti a padroneggiare l’innovazione, perché essa rappresenta comunque un valido supporto alle nostre attività. Se da una parte vi è un fondato interesse nei confronti dell’introduzione di sistemi automatizzati e robotizzati in alcuni ambiti della medicina per ragioni prevalentemente economiche, dall’altra vi è un forte scetticismo sulle loro capacità di sostituire appieno, o almeno integrare, il lavoro svolto dall’operatore sanitario. Un settore dove tuttora sussiste ed è anzi radicato tale scetticismo, è quello della riabilitazione robotica».

Quello che (non) conviene

Il pregiudizio corrente conduce sovente infatti a pensare che il fisioterapista in carne e ossa possa rivaleggiare con successo coi colleghi dal cuore d’acciaio a dispetto dei risultati da questi ultimi conseguiti dalle sperimentazioni realizzate anche presso l’Irccs Bonino Pulejo stesso.

«E un’altra questione che viene spesso sollevata quando si parla di tecnologia robotizzata è che l’intelligenza artificiale delle macchine possa raggiungere presto una tale autonomia decisionale da poter escludere in tutto e per tutto l’uomo. I robot, però, non hanno una volontà propria e pertanto non dovrebbero venire additati come un pericolo. Non sarà il robot a sostituire l’uomo, perché è l’uomo a decidere se, quando e come un robot può rimpiazzarlo». Le economie di scala, nella robotica, fanno il resto.

«L’aspetto economico e il calcolo della relazione fra costi e benefici saranno fattori dirimenti», ha considerato il dottor Placido Bramanti, «in vista di un incremento numerico rilevante dei robot in ambito sanitario e assistenziale. A titolo di esempio, se per gestire una determinata patologia un robot costa circa 150 mila euro l’anno e una persona 130 mila euro l’anno, nessun gestore pubblico immaginerebbe mai di sostituire il lavoro dell’essere umano con quello robotizzato e automatizzato di una macchina. Una tale decisione deve essere sostenuta da vantaggi concreti, evidenti e ineccepibili dal punto di vista della salute e del livello di qualità raggiunti, oppure da benefici economici chiari, a parità di risultati, in termini di riduzione dei costi».

Completamente diverse sono invece le prospettive della telemedicina.

«L’indiscusso punto a suo favore», ha concluso Bramanti, «è legato a una potenziale razionalizzazione dei processi sociosanitari con un possibile impatto sul contenimento della spesa sanitaria, quindi alla riduzione del costo sociale delle patologie e soprattutto di quelle croniche. Se correttamente utilizzati, i servizi di telemedicina possono contribuire a una vera trasformazione del settore sanitario e a un cambiamento sostanziale delle strategie di business che a esso sottendono. La disponibilità di servizi di telemedicina per aree o pazienti disagiati potrebbe permettere anche una diminuzione della spesa, come pure un aumento dell’efficacia del sistema. Nondimeno, la telemedicina può essere di supporto alla dimissione protetta ospedaliera, alla riduzione di ospedalizzazione dei malati cronici, al minor ricorso ai ricoveri in casa di cura e di riposo degli anziani, alla riduzione di mobilità dei pazienti alla ricerca di migliori cure».

 

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