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Una marcia in più verso la cartella clinica digitale

Una fase di studio estesa a ogni figura aziendale ha portato l’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano a pianificare la trasformazione della cartella clinica digitale partendo dalle esigenze degli utenti finali, con benefici immediati su tempi, costi ed efficienza.

In un moderno sistema ospedaliero la cartella clinica digitale occupa ormai il centro dell’organizzazione. Un fulcro, intorno al quale ridisegnare un’intera organizzazione, tra le più complesse in assoluto, con la necessità di conciliare una varietà di ruoli e di compiti difficili anche solo da immaginare. Per tradurre in realtà un progetto di digitalizzazione, ostacoli e imprevisti sono all’ordine del giorno. Per contro, i mezzi a disposizione sono limitati per definizione e da gestire con il contagocce.

L’esperienza maturata sul campo è tuttavia ormai abbastanza ampia da poter individuare esempi virtuosi di come trasformare in efficienza un cammino di trasformazione da procedure manuali e relativi processi di gestione di documenti cartacei ai vantaggi di un ambiente digitalizzato.

È lo scenario realizzato, tra gli altri, dalla Fondazione Irccs Istituto Nazionale dei Tumori. Un interessante punto di riferimento non solo per i risultati raggiunti, ma anche per la procedura seguita, per certi versi ancora più innovativa della cartella clinica digitale stessa.

Analisi dei bisogni

«Abbiamo iniziato a organizzarci alcuni anni fa, seguendo una mappa di progetto a matrice», spiega l’ingegner Giuseppe Rosito, direttore S.C. Information Communication Technology e sistemi informativi aziendali della struttura milanese. «Da una parte, gli obiettivi che volevamo realizzare suddivisi per gradi, dall’altra tutte le figure professionali interessate e i relativi strumenti necessari».

L’aspetto più importante era il personale clinico coinvolto fin dalle prime fasi, al fianco del dipartimento IT e della dirigenza. «Tengo a sottolineare», aggiunge Rosito, «che il capo progetto è una figura esterna al mondo ICT e questo è fondamentale per capire prima di tutto le esigenze di chi i sistemi dovrà usarli tutti i giorni».

Giuseppe Rosito

Una considerazione dalla quale nelle fasi successive scaturirà un importante svolta procedurale. Prima di arrivarci, però, è stato investito del tempo in una serie di incontri tra gruppi di lavoro diversi e al tempo stesso integrati, proprio per approfondire nel dettaglio le esigenze delle singole mansioni, i flussi dei dati e le interazioni tra pazienti e personale, ma anche tra le diverse figure cliniche.

«Fermi restando i punti fermi dettati da normative e direttive», precisa Rosito, «prima di metterci al lavoro sull’infrastruttura volevamo capire ogni esigenza, tenendo comunque ben presenti gli obiettivi, per evitare richieste fuori dai binari».

Il lavoro di gruppo ha presto portato a definire un primo capitolato di gara per avviare la fase iniziale della cartella digitale. Dall’inquadramento generale del paziente ai parametri vitali, dal diario ai punti da approfondire nella prima analisi, le informazioni dovevano nascere in digitale e non più scannerizzate o digitate in un secondo momento. D’altra parte, il nuovo sistema doveva garantire da subito la piena integrazione con i sistemi verticali delle più comuni sorgenti dati, a partire da radiologia e i laboratori di analisi fino al tessuto IT aziendale.

«L’azienda che si è aggiudicata la gara è stata all’altezza delle nostre attese: in un anno e mezzo ci ha permesso di estendere rapidamente la cartella clinica digitale praticamente a tutti i reparti».

Tempi insoliti per un cambiamento di tale portata in un ambiente particolarmente complesso. Si è quindi rivelata vincente la strategia dei piccoli passi. Introdotta inizialmente con progetti pilota nei reparti di Oncologia e di Chirurgia, la cartella clinica digitale ha richiesto un paio di mesi per la messa a punto sul campo, permettendo di arrivare a coprire l’intera organizzazione nel giro di diciotto mesi.

Ribaltato il modello, trovata l’efficienza

Aspetto non scontato, si è avuta la piena collaborazione e soddisfazione dei diretti interessati, vale a dire il personale, chiamato a un drastico cambio di abitudini e a imparare una nuova procedura. Proprio qui inizia a concretizzarsi la validità dell’approccio iniziale, con il coinvolgimento esteso fin dalle prime fasi di studio.

«Hanno avuto modo di accorgersi subito dei vantaggi di passare dalla carta all’IT», sottolinea Rosito. «Loro stessi quindi, avevano interesse a completare il passaggio e si sono trovati più stimolati a contribuire nella messa a punto dei meccanismi».

Grazie a questo, i vantaggi non hanno tardato a emergere: benefici in termini di consultazione, accessibilità ai dati ben definita in base a profili e mansioni, riducendo di conseguenza possibilità di errore e difficoltà nel recuperare le informazioni desiderate, si sono presto trasformati in valore aggiunto in termini di efficienza.

A livello procedurale, la vera svolta riguarda quindi un aspetto con cui in passato il mondo IT ha sempre fatto fatica a relazionarsi.

«Abbiamo invertito l’approccio allo sviluppo», ammette Rosito. «Dove di regola era l’IT a stabilire come si dovesse impostare un processo o un’applicazione e il personale costretto ad adeguarsi, ora si ascoltano gli utenti e si sviluppa un sistema in grado di rispondere alle loro esigenze».

Sempre muovendosi all’interno delle direttive, il risultato più evidente è un’impostazione delle schede digitali da compilare, organizzata seguendo le indicazioni degli utenti. La flessibilità del software e gli ampi spazi di personalizzazione erano punti fermi del capitolato e, a conti fatti, anche uno dei principali aspetti grazie ai quali l’azienda fornitrice ha potuto far valere il proprio potenziale.

«È una delle prime esigenze venute a galla fin dagli incontri iniziali. Devo ammettere che alla fine si è rivelato un ottimo aiuto per noi e credo sia la principale chiave di successo dell’adozione veloce».

Una sorta di esame di coscienza da parte del mondo IT per un passato troppo spesso rigido e miope, dove imporre le proprie decisioni spesso significava difendere anche la propria autorevolezza. Un clima completamente cambiato nell’era della comunicazione e della collaborazione, dove l’Istituto dei Tumori non ha esitato a mostrarsi pioniere e ha saputo dimostrare come, alla fine, l’apertura si traduca in vantaggi su tempi e risultati raggiungibili.

Vantaggi a costi ragionevoli

Per quanto valida, nessuna strategia può comunque chiamarsi fuori da un confronto senza compromessi sulla spesa, particolarmente delicato quando si parla di sanità. Proprio da questo aspetto, però, arriva un’ulteriore conferma.

«Siamo usciti con una base d’asta da tanti giudicata troppo bassa per il capitolato richiesto. Tuttavia, questo non ha impedito di ricevere dieci offerte e alla fine i costi si sono rivelati in linea con le soluzioni standard e, per certi aspetti, addirittura sotto la media».

In pratica, un lavoro preparatorio più lungo e articolato ha permesso di arrivare alla fase operativa con le idee già chiare e una maggiore consapevolezza diffusa sul proprio ruolo, riuscendo così a ridurre i tempi di messa in opera e i costi della formazione e del relativo impaccio iniziale.

A vantaggio della transizione ha giocato anche un livello di informatizzazione già elevato. Presso l’Irccs, infatti, i dati della Radiologia sono digitali ormai da una ventina d’anni, così come i laboratori di Anatomia, Patologia e Radioterapia. Il merito del reparto ICT, in questo caso, è aver completato l’integrazione con i sistemi esistenti e il gestionale retrostante in modo del tutto trasparente all’utente finale.

«Quando un medico deve inoltrare una richiesta di analisi, accede direttamente dall’applicativo della cartella clinica digitale, seguendo una procedura a lui nota da tempo. Anche la consultazione o le consulenze ora si possono eseguire attraverso l’applicazione per la cartella clinica digitale».

Se l’utente finale della cartella clinica è il personale interno della struttura, il vero protagonista è però il paziente. Al momento la sua figura resta estranea alle fasi successive alla raccolta delle informazioni, ma in futuro questo ruolo è destinato a cambiare.

«L’idea è coinvolgerlo maggiormente nelle fasi di aggiornamento. Dare voce al paziente è importante, anche solo per raccogliere impressioni sullo stato di salute, sulle sensazioni durante una terapia. Sono tutti elementi utili per arricchire le informazioni a disposizione di chi deve curarlo. Più avanti, inoltre, credo sia utile pensare a come permettergli di accedere direttamente ad alcuni dati».

Tre nuovi obiettivi

I risultati in termini di efficienza non si sono fatti attendere. Anche per questo, il desiderio di andare oltre non ha tardato a manifestarsi, inquadrando tre direttrici principali su cui lavorare nell’immediato.

«Stiamo già pensando al rifacimento del sito web, dove sarà introdotta una pagina dedicata al paziente: ottenute le credenziali nazionali, potrà scaricare documenti che lo riguardano (referti, immagini diagnostiche, fatture e altro) o chiedere direttamente consulti e informazioni. Inoltre, stiamo valutando la possibilità di abilitare l’inserimento diretto di informazioni utili alla cartella clinica».

Un altro passaggio importante da completare, soprattutto per i suoi effetti pratici, è la dematerializzazione dei consensi. Attualmente uno dei punti dolenti per quantità di supporti cartacei utilizzati e lunghezza delle procedure rischia di trasformarsi anche in un collo di bottiglia della catena informativa.

Con il considerevole aumento dei dati digitali raccolti si aprono, infine, importanti prospettive sul fronte dell’analisi e quindi della ricerca.

«Aggiungendo la cartella clinica digitale ai dati dipartimentali esistenti, si alimenta un datawarehouse. Possiamo ricavarne dati strutturati da integrare in un sistema in grado di migliorare diversi aspetti, come offrire informazioni più complete al personale clinico e nuove basi sulle quali sviluppare cure e farmaci».

L’efficienza entra in sala operatoria

Grazie anche a una strategia per certi versi innovativa, i risultati raggiunti dalla Fondazione Irccs Istituto Nazionale dei Tumori di Milano in materia di cartella clinica digitale si sono presto trasformati in stimoli per accelerare il percorso di digitalizzazione.

In particolare, invertire l’approccio tradizionalmente seguito dall’IT trasformando le esigenze dei clinici in applicazioni e non più istruendo il personale a usare applicazioni e procedure messe a punto da figure tecniche ha prodotto un importante cambiamento nella gestione del magazzino di sala operatoria.

In questo modo, tutto il materiale che entra nell’Istituto viene etichettato con qr code, superando il legame con le procedure distinte di ogni fornitore. Poste queste basi, si è potuto affrontare il passo successivo: ridurre un centro di costo.

«Il blocco operatorio ha un magazzino dedicato dove vengono portati i materiali prelevati dal magazzino centrale», spiega Giuseppe Rosito. «A seconda degli interventi pianificati per la giornata, vengono allestiti i relativi carrelli con i dispositivi necessari. Solo in quel momento i dispositivi si ritengono effettivamente consumati e non quando vengono prelevati, come succedeva in precedenza, senza sapere la destinazione finale».

Così facendo, la gestione del magazzino dedicato guadagna efficienza: diventa cioè possibile calcolare con maggiore precisione quanti pezzi vengano effettivamente consumati e soprattutto dove siano destinati. Questo aiuterà ad arrivare al vero obiettivo finale, ossia associare i dispositivi e i relativi farmaci direttamente al paziente, contribuendo anche a comporre meglio la relativa storia all’interno della scrittura.

Affidabilità senza compromessi

Una rivoluzione della portata della cartella clinica digitale ha importanti ripercussioni anche sull’infrastruttura IT chiamata a sostenerla. Fermi restando i necessari aggiornamenti dei sistemi, inclusi nel bando complessivo, all’Istituto Nazionale dei Tumori il passaggio è stato comunque agevolato da una confidenza già decennale con le risorse IT e la relativa programmazione.

Diverso è, però, il discorso quando si affida al digitale buona parte dell’operatività del personale.

«Oggi contiamo su un hardware completamente ridondato, anche per quanto riguarda il disaster recovery», spiega Rosito. «Quindi, due sistemi nella sede principale e altrettanti in una distaccata, pronti a intervenire in caso di necessità».

Più delicato è il discorso relativo ai dipendenti: in questo caso alla gestione del cambiamento si sono affiancati nuovi requisiti di affidabilità.

«Il personale lavora quasi sempre su pc fissi o notebook, questi ultimi vengono utilizzati soprattutto dagli infermieri durante i giri quotidiani dai pazienti. Alcuni (soprattutto medici) sono dotati anche di tablet con accesso diretto alla cartella clinica».

Anche la parte di trasmissione richiede accorgimenti particolari. La rete dei servizi interni è completamente sotto il controllo del reparto IT. I servizi prestati agli utenti esterni, come per esempio la wi-fi, sono erogati da un’infrastruttura totalmente separata. La cartella clinica digitale, in particolare, utilizza una VPN dedicata nell’ambito dell’architettura interna.

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