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Intelligenza artificiale in sanità, un punto di vista italiano

Il dibattito sull’utilizzo dei sistemi di intelligenza artificiale e dei sistemi di auto apprendimento che fanno leva sull’analisi e l’elaborazione dei cosiddetti big data è oggi quanto mai popolare e nell’ambito della scienza medica l’accento si sta spostando sui risvolti clinici dell’evoluzione.

Vale a dire che se taluni algoritmi si sono rivelati particolarmente efficaci nell’interpretare alcuni trend tecnologici o persino di talune abitudini di consumo, è più che probabile che essi possano servire efficacemente la causa della medicina.

Quel che serve, allora, allo stato attuale delle cose è uno scarto in avanti che consenta alla intelligenza artificiale non solo di esaminare opportunamente immense quantità di informazioni, ma soprattutto di tracciare correlazioni appropriate fra l’una e l’altra tipologia di dato e mettere i risultati del processo a disposizione dei professionisti, per supportare adeguatamente i loro meccanismi decisionali.

Anche di questo si è parlato a margine dell’assegnazione dei premi per i bandi di concorso promossi da Gilead per l’innovazione in sanità. E tutto ciò grazie, in particolare, al contributo di Riccardo Bellazzi, direttore del Dipartimento di Ingegneria Industriale e dell’informazione e responsabile del Laboratorio di Informatica Biomedica Mario Stefanelli dell’Università degli Studi di Pavia e del Laboratorio LISRC dell’IRCCS ICS Maugeri di Pavia.

Riccardo Bellazzi, direttore del Dipartimento di Ingegneria Industriale e dell’informazione e responsabile del Laboratorio di Informatica Biomedica Mario Stefanelli dell’Università degli Studi di Pavia e del Laboratorio LISRC dell’IRCCS ICS Maugeri di Pavia

«Una ragione importante che ci spinge alla riflessione sull’intelligenza artificiale – ci ha detto il professor Bellazzi – è che alcune delle tecnologie che ne fanno parte, segnatamente quelle più strettamente legate all’apprendimento automatico, hanno raggiunto un livello di qualità tale – a livello di implementazione – da potersi dire ormai a pieno titolo pronte per un utilizzo di ambito clinico. La Food & Drug Administration degli Stati Uniti ha di recente approvato in via ufficiale l’utilizzo di un sistema diagnostico delle retinopatie diabetiche basato su metodi di intelligenza artificiale, a dimostrazione dell’affidabilità che le contraddistingue».

Secondo il docente si tratta di «un salto di qualità importante rispetto al passato», che ritrova la sua ragion d’essere in alcuni elementi identificabili con precisione. «Gli ingredienti fondamentali del successo delle soluzioni di intelligenza artificiale – ha proseguito Bellazzi – sono rappresentati, da una parte, dai passi avanti compiuti sul versante dello sviluppo degli algoritmi dedicati e, dall’altra, dalla sempre crescente capacità di raccogliere e analizzare quegli ingenti quantitativi di informazioni noti come big data. Per l’esattezza, la capacità di processarli in tempi accessibili e accettabili dal punto di vista dell’utente e sfruttarne l’elaborazione per creare degli strumenti di supporto alla decisione clinica».


Il settore ampio dello imaging diagnostico offre un banco di prova importante per gli usi possibili dell’intelligenza artificiale applicata alla medicina. Non a caso quindi, come lo stesso Bellazzi ha argomentato, la Food & Drug Administration si è concentrata «sulla vasta disponibilità di immagini diagnostiche». E anzi «sulle potenzialità di un software di analisi automatica delle immagini», ovvero su «un campo molto ben consolidato tecnologicamente».

La ragione della scelta sta proprio nell’accessibilità dei dati in oggetto di qualità elevata. «Il quantitativo di informazioni a disposizione degli sviluppatori – ha ricordato Bellazzi – è prezioso per la crescita degli algoritmi del deep learning. Per chiarire, immagini diverse dal punto di vista dei contenuti conservano comunque dei tratti in comune ben identificabili. Si può così osservare, e lo hanno dimostrato anche articoli scientifici pubblicati su autorevoli riviste internazionali, come Nature, che alcuni algoritmi allenati su grandi quantità di immagini di ogni tipologia possono essere utilizzati per mettere a punto sistemi diagnostici specifici, per esempio sui tumori della pelle. Partendo da una rete neurale pre-allenata su immagini di qualsiasi genere e adattata poi a quelle di tipo clinico, è possibile raggiungere performance classificatorie del tutto degne, nella fattispecie, di un esperto dermatologo. Dietro lo sviluppo di questi algoritmi ci sono spesso autentici colossi del web come Google, a ulteriore testimonianza di quanto sia alta, attualmente, la posta in gioco».

Dalla diagnosi alla prognosi

La domanda retorica che il professor Riccardo Bellazzi si è posto riguarda la liceità, nelle circostanze citate, di parlare di una vera e propria intelligenza del sistema. La risposta è che «sotto il profilo dei contenuti, l’attività di intelligenza artificiale è qui relativamente semplice».
Si basa sulla capacità di «incamerare e digerire quantità importanti di esempi, rappresentandoli mediante variabili latenti, e di ritrovare similarità all’interno di questo nuovo spazio di variabili partendo da un’immagine in precedenza mai vista». L’immagine viene quindi etichettata e il meccanismo è in grado di dare il giusto nome a ogni singola patologia, confrontandolo con quanto già memorizzato nella rete neurale.

«Il compito – ha commentato Bellazzi – è piuttosto semplice dal punto di vista concettuale, mirato com’è a problematiche specifiche. Su questo la intelligenza artificiale oggi è sufficientemente attendibile. La classificazione è di buon livello e la capacità di calcolo e memorizzazione su rete neurali delle immagini in base alle caratteristiche comuni è cresciuta molto. Resta però il fatto che il ragionamento viene condotto qui sostanzialmente per analogia».

L’intenzione del laboratorio di Informatica Biomedica M. Stefanelli dell’Università degli Studi di Pavia è di andare oltre.

«Il nostro obiettivo – ha anticipato il docente – è dare vita a sistemi che permettano avanzamenti significativi nella ricerca e sulle possibilità di processare dati di varia natura, come immagini, segnali, dati genetici e informazioni cliniche, inserendole in architetture di ragionamento più complesse. Tali, dunque, da poter supportare le decisioni dei clinici tenendo conto del processo di cura dei pazienti. Inoltre, è importante passare dalla diagnosi alla prognosi e prevedere in un certo modo la storia clinica del paziente».

Il percorso implica quindi la capacità di lavorare non già su una sola tipologia di dati o immagini bensì su una molteplicità di possibili set. «Definire le azioni corrette in questo ambito significa al tempo stesso tenere conto delle strategie assistenziali più adatte al singolo paziente».
Perciò non c’è in gioco solo l’apprendimento, ma anche la possibilità di trasformare quanto appreso in materiale utile per supportare i processi decisionali del personale clinico, lungo tutte le fasi della sua attività.

«L’analisi verticale e comparativa – ha detto Bellazzi – è importante ma non basta a esaurire la ricerca. Dall’esecuzione di alcuni task mirati è necessario adesso migliorare le capacità predittive e tenere conto delle previsioni nel supportare la scelta delle terapie».

Sono molte le iniziative in progress presso la storica università lombarda, dove le metodiche di intelligenza artificiale sono già utilizzate a livello sperimentale in appoggio tanto ai clinici quanto alla ricerca.

«Posso citare – ha concluso Bellazzi – una pubblicazione uscita quest’anno con la quale abbiamo mostrato come sia possibile raggruppare i pazienti tenendo conto sia delle caratteristiche cliniche sia di quelle molecolari e come questi gruppi abbiano diverse aspettative di vita. Il tema era quello delle leucemie mieloidi acute ed è stato affrontato sulla base di dati disponibili sui repository pubblici in internet. Il tutto sfruttando un algoritmo creato per Netflix allo scopo di trovare e classificare particolari gruppi di utenti. Il meccanismo è stato quindi trasferito e replicato sui pazienti. Stiamo beneficiando, poi, dell’intelligenza artificiale per esaminare i dati relativi a un gruppo di pazienti diabetici, durante il loro monitoraggio domiciliare e clinico. Si tratta del progetto Mosaic e del progetto AIG-DM, che aiutano i diabetologi di ICS Maugeri e ora della Pediatria dell’IRCCS Policlinico San Matteo a valutare il quadro dei pazienti nelle visite, affiancandovi una analisi semi-automatica su pazienti compiuta tramite strumenti indossabili e su sensori della glicemia, per analizzare il controllo metabolico alla luce dello stile di vita».

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