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Il machine learning cambierà la medicina

In molte nazioni il rapporto tra i pazienti e il medico di base è quantomeno migliorabile e il machine learning promette di farlo. Non è cattiva volontà delle due parti in causa: è tutto il sistema delle visite di controllo che appare deficitario in un’epoca in cui unosmartphone è in grado di raccogliere più dati sulla nostra forma fisica rispetto a quanto sa di noi il nostro medico di riferimento.

E secondo i critici la situazione non è destinata a migliorare, tanto che anche analisti non proprio del settore medico come Gartner hanno indicato che la tecnologia, tra wearable e machine learning, cambierà presto il nostro modo di vedere (e vivere) la medicina. E non c’è solo quello.

Partiamo, come Gartner, dal “piccolo” delle esperienze quotidiane dei potenziali pazienti. Le aziende produttrici di wearable, tra smartwatch e braccialetti fitness tracker, hanno capito che gli unici mercati di riferimento oggi sono gli appassionati di sport e quelli attenti alla salute.

E i primi sono un settore già saturo. Quindi è solo naturale che i prodotti più recenti, tra hardware e software, puntino sulle funzioni per valutare direttamente qualche parametro fisico (oggi le pulsazioni cardiache, domani chissà) e comunque sul dialogo con altri oggetti che facciano lo stesso, dalle bilance ai misuratori di pressione passando persino per gli ossimetri.

Tutta la mole di dati raccolta dai wearable e da altri oggetti “clinici” collegabili al nostro smartphone è una fonte di informazioni potenzialmente molto dettagliate sul nostro stato di benessere e anche di salute fisica. Per questo Gartner immagina la diffusione di “assistenti medici” personali (li chiama VPHA, Virtual Personal Health Assistant) che possono analizzare queste informazioni per soddisfare le esigenze diagnostiche di base, quelle per cui di norma si andrebbe dal medico.

watch-clinicVa sottolineata comunque l’espressione “di base”. L’intelligenza – immancabilmente in cloud – degli assistenti medici virtuali può fare un buon lavoro nel rilevare i parametri, contestualizzarli storicamente ed evidenziare eventuali scostamenti dalla norma, ma l’interpretazione di tali scostamenti al momento non si può affidare solo a un algoritmo. O comunque nessun produttore si assumerebbe una tale responsabilità, come nessuno oggi presenta il suo smartwatch come uno strumento medico.

La diagnostica virtuale

Ma l’idea di base appare giusta e ha le sue applicazioni anche in ambiti di fascia nettamente più elevata. L’estensione più ovvia dei wearable oggi così semplici è il monitoraggio virtuale continuo per i pazienti e in particolare per chi ha patologie croniche.

Già oggi esistono sistemi di monitoraggio che usano telecamere o sensori di base (come gli accelerometri per le cadute), ma operano in ambienti limitati e sempre con una logica reattiva. Possiamo pensare invece a wearable più evoluti, collegati a un sistema di intelligenza artificiale che analizzi costantemente i dati rilevati per poter dare segnalazioni anche proattive.

Sono meno futuribili le applicazioni del machine learning nella diagnostica, un altro campo in cui l’apprendimento automatico mostra interessanti potenzialità. GE ha già progettato un sistema – la Health Cloud – in grado di collegare in rete circa mezzo milione di suoi dispositivi di diagnostica per immagini. Lo scopo principale al momento è quello della condivisione dei dati tra più medici anche molto distanti fra loro, per sopperire alla mancanza di competenze che possono esserci in un ospedale o comunque per favorire lo scambio di informazioni e di opinioni.

Centricity-Imaging-Collaboration-Suite-InterfaceMa in prospettiva c’è l’ennesima applicazione utile del principio di base del machine learning: addestrare gli algoritmi con enormi moli di dati, stavolta diagnostici, per arrivare a un sistema in grado di evidenziare anomalie molto più velocemente e in maniera più precisa di un medico. O anche di correlare queste anomalie con altri parametri secondo correlazioni scoperte dopo aver “digerito” una quantità impossibile, per un medico umano, di informazioni diagnostiche, ricerche cliniche, analisi e quant’altro.

GE ha lavorato sulla diagnostica per immagini ma il principio è applicabile per qualsiasi tipo di dati clinici. Il machine learning ha la “pazienza” e il raggio d’azione che i medici umani non possono fisicamente avere, mentre questi hanno la capacità di gestire le anomalie che un sistema artificiale non ha. Per tanti motivi – tra cui molti legali e psicologici – è improbabile che nel prossimo futuro ci affideremo completamente a un diagnosta virtuale. Ma non sarebbe strano se fosse proprio questo a segnalare al nostro specialista le anomalie anche minime che sarebbe bene approfondire.

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