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La gestione del paziente cronico al tempo della digitalizzazione

Stante la maturata consapevolezza del ruolo che la digitalizzazione può giocare in sanità, il nostro Paese mostra un quadro di ritardo e arretratezza, fatto da insufficienza degli investimenti da una parte e gestione poco digitale del paziente dall’altra.

In Italia il 39,9% dei residenti, corrispondenti a 24 milioni di cittadini, è affetto da almeno una malattia cronica, il 20,9% da almeno due. Il nostro Paese investe in sanità digitale 1,3 miliardi di euro, pari a soltanto 22 euro pro capite, cifra troppo bassa se paragonata ai 60 euro del Regno Unito e ai 40 della Francia.

È quanto emerso dallo studio dell’Osservatorio Innovazione Digitale in Sanità del Politecnico di Milano, presentato dal responsabile scientifico Paolo Locatelli, che ha sottolineato come queste evidenze posizionino l’Italia in retroguardia.

«Nelle malattie croniche la digitalizzazione è un tema di primo piano quando si ragiona in termini di programmazione degli interventi socio-sanitari», ha sostenuto Mariapia Garavaglia, presidente della Fondazione Roche, aggiungendo che «Fondazione Roche in questi mesi, in occasione della ricorrenza dei 40 anni del nostro Servizio Sanitario Nazionale, si è posta l’obiettivo di sostenere un dibattito sui valori sui quali esso si fonda: equità, uguaglianza e universalità. Questo suo carattere universalistico rischia di essere messo a dura prova dal divario tra risorse disponibili e bisogni dei cittadini e per rispondere a questi bisogni, garantendo la sostenibilità economica del sistema, le soluzioni digitali rappresentano una leva fondamentale per trovare nuovi equilibri».

Il potenziale del digitale in sanità nel medio periodo

Osservazioni pienamente condivise dal professor Locatelli soprattutto alla luce dei dati emersi dallo studio del Politecnico: a fronte di una spesa sanitaria complessiva, tra sistema pubblico ed esborso diretto dei cittadini, stabilizzatasi negli ultimi 5 anni intorno ai 145-150 miliardi di euro, il fabbisogno stimato per il 2025 si attesta intorno ai 210 miliardi, dato a cui si deve sommare il fatto che la popolazione italiana di età superiore ai 65 anni sia in forte crescita, rappresentando già oggi il 21,8% del totale – uno dei dati più elevati nel mondo occidentale – e si proietta al 2051 a quasi il 35%, oltre 1 cittadino su 3.

L’innovazione digitale, ha sostenuto Locatelli, «rappresenta l’elemento utile a colmare il divario tra bisogni e risorse. Il digitale si presenta dunque come quello spazio per innovare attraverso tre direttrici: rinnovamento organizzativo, empowerment del paziente e nuove competenze degli operatori sanitari». Secondo Locatelli, la digitalizzazione si deve dunque declinare in processi di rinnovamento organizzativo e tecnologico, ma anche di formazione del paziente-cittadino e di sviluppo delle competenze degli operatori sanitari.

In questa sfida di medio termine cartella clinica, telemedicina, dispositivi indossabili, intelligenza artificiale, app e analisi dei big data possono contribuire in modo sostanziale a favorire il raggiungimento del traguardo della sostenibilità economica del sistema sanitario, contribuendo all’erogazione di un adeguato livello di qualità delle cure, con un evidente beneficio tanto per il paziente quanto per il Paese.

«La sanità digitale, attraverso lo sviluppo di strumenti organizzativi e assistenziali, si configura oggi come una potente arma per colmare le differenze tra le Regioni nelle opportunità di cura dei cittadini», ha proseguito Mariapia Garavaglia.

«Il digitale rappresenta anche un utile elemento per vincere la sfida delle malattie croniche», ha sostenuto la prof. Valeria Tozzi, Associate Professor of Practice SDA Bocconi e direttore del Master MiMS all’Università Bocconi di Milano. «Molto spesso le cronicità si presentano a braccetto, il che determina una massiccia presenza di pazienti polipatologici che necessitano di un’unica cabina di regia che li aiuti nel percorso di cura. Spesso accade infatti che i professionisti non dispongano della completezza delle informazioni, è dunque cruciale mettere in campo un’efficace staffetta tra ospedali e territorio garantendo una reale presa in carico. Anche in questo ambito ha un ruolo fondamentale la tecnologia dedicata allo scambio di informazioni quale, per esempio, la telemedicina».

La professoressa Tozzi ha quindi ricordato come le malattie croniche assorbano tra il 70 e l’80% delle risorse sanitarie, rappresentando una vera emergenza, una sorta di epidemia per il sistema sanitario nazionale.

Digitalizzazione ancora molto incerta

Oggi, tuttavia, il digitale appare ancora troppo poco sviluppato, su diversi fronti. Per quanto riguarda la continuità di cura, secondo un’indagine dell’Osservatorio, lo scambio di dati e documenti sui pazienti attraverso percorsi diagnostico-terapeutici assistenziali informatizzati è adottato solo dal 29% delle aziende sanitarie, con professionisti sanitari dell’azienda ospedaliera appartenenti a diversi dipartimenti, e dal 23% con professionisti all’interno di una o più reti di patologia. Esistono PDTA informatizzati solo per alcuni ambiti patologici, tra i quali spiccano diabetologia e cardiologia.

Il supporto informatico alle attività di presa in carico del paziente risulta diffuso soprattutto per le attività gestionali e amministrative, come la gestione dei dati anagrafici dei pazienti (nell’80% delle aziende) e la gestione delle prenotazioni (63%).

Grandi stenti, altresì, per quanto concerne la possibile diffusione come strumento per la messa in atto di percorsi individualizzati secondo il principio della presa in carico stabile del paziente, ovvero per quanto concerne i servizi al cittadino: solo 1 azienda su 3 in media utilizza un supporto digitale nella definizione, visualizzazione e aggiornamento di piani di assistenza individuale, per l’analisi dei dati dei pazienti e per mettere in comunicazione tutti gli attori del sistema salute.

Anche i cittadini risultano tuttavia molto poco digitali, secondo quanto emerge dalla fotografia tracciata dall’Osservatorio del Politecnico. Sono 3 su 10 i cittadini, soprattutto tra i più anziani, che ritengono di non essere in grado di utilizzare questi strumenti. Al deficit di competenze si accompagna un’offerta ancora deficitaria di servizi. Pochi sono coloro che utilizzano moderne modalità di comunicazione anche con il loro medico: 7 su 10 preferiscono incontrarlo personalmente. I ‟digitali” utilizzano invece email (15%), sms (13%) o WhatsApp (12%) per comunicare con il medico, per lo più per spostare o fissare un appuntamento.

«Cronicità e plurimorbilità minano la sostenibilità del sistema sanitario nazionale. Di fronte a questa emergenza solo telemedicina e digitalizzazione rappresentano una soluzione sostenibile», secondo Francesco Gabrielli, direttore del Centro Nazionale per la Telemedicina e le nuove tecnologie assistenziali dell’Istituto Superiore di Sanità. «Con il digitale si è modificata la società e i suoi pazienti. Per stare al passo con i tempi e guidare questa rivoluzione occorre fare molto lavoro ed è auspicabile una collaborazione istituzionale».

Anche Antonio Gaudioso di Cittadinanzattiva ha espresso il suo plauso a una maggiore diffusione del digitale in sanità: «i cittadini oggi sono più consapevoli e il digitale rappresenta anche uno strumento utile a superare le disuguaglianze».

Alla luce di quanto emerso, appare quanto mai appropriato e urgente l’auspicio di Fondazione Roche verso una più significativa digitalizzazione della sanità, proprio come sta accadendo in altri Paesi.

I percorsi digitali, ormai pervasivi in qualsiasi settore, appaiono ancora più importanti per la gestione del paziente cronico che, semplificando la relazione con il medico possono aprire a percorsi virtuosi per il paziente, garantendo anche una crescente aderenza alle cure e quindi minori esborsi per la sanità e ottimizzazione delle risorse. In tal senso recenti dati Aifa hanno mostrano che il 70% dei pazienti con più di una cronicità risultava non aderente alle terapie, producendo una spesa sanitaria pari a 11 miliardi l’anno.

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