La trasformazione digitale detta i tempi alla sanità centrata sul paziente, alla quale per essere realmente tale servono infrastrutture capaci di gestire i dati in tempo reale e in grado di garantire un livello elevato di sicurezza e privacy e serve saperle integrare.
Il tema apre il campo alla cosiddetta data quality e ne fa una competenza per varie figure, gestionali e tecniche, del sistema sanitario.
Questo scenario è stato accelerato dalla pandemia, in particolare sul piano delle azioni di integrazione dei dati. Cosa serve, dunque, alle direzioni sanitarie italiane per realizzare il vero obiettivo della sanità centrata sul paziente, e quanto manca per realizzarlo?
Lo valutiamo parlando con Cesare Guidorzi, Country Manager di InterSystems Italia, società che da sempre si occupa di informatica per il sistema sanitario e che quindi ha pieno titolo per interpretare l’attuale fase di trasformazione digitale.
Cosa significa avere una sanità centrata sul paziente dal punto di vista della gestione dati in tempo reale: quali infrastrutture servono?
Significa innanzitutto ottimizzare la relazione costo-efficacia per il paziente stesso: garantirgli i migliori risultati in termini di esiti e terapie con pari impiego di risorse, che non considerano solamente il fattore economico, ma anche il tempo. La Value Based Healthcare è un approccio nato da Michael Porter che sostiene che gli esiti di salute del paziente debbano essere il principale obiettivo di ogni sistema sanitario che funzioni correttamente. L’efficiente gestione dei dati rappresenta il pilastro portante di questo approccio, in quanto consente di individuare il miglior piano d’azione rispetto ai due fattori appena citati: a pari risorse impiegate dal sistema sanitario, questa metodologia ottimizza il percorso di cura focalizzando l’obiettivo per il paziente in termini di durata e qualità della vita.
Per ottenere questo obiettivo è necessario quindi agire sui processi. E per abilitare processi che travalichino il singolo attore è necessario introdurre logiche di trasformazione digitale dei dati in formati condivisi e quindi interoperabili.
È l’opportunità di ripensare alle infrastrutture dell’intero ecosistema salute in ottica di integrazione e centralizzazione della raccolta dei dati: processi e tecnologie che permettano di seguire il paziente in modo fluido, continuativo e in tempo reale, sia all’interno di una struttura sanitaria, come può essere un ospedale, che analogamente su tutto il territorio coperto dal sistema stesso.
Ma quali sono le piattaforme che devono essere messe in gioco per consentire tale interoperabilità oltre che la gestione del dato e della sua analisi integrata? Si tratta dei Fascicoli Sanitari? Non esattamente. Noi preferiamo parlare di Clinical Data Repository (CDR), ovvero di una soluzione fortemente incentrata sui dati atomici e non sui documenti, basata su un’architettura di Data Lake. Il CDR è in grado di lavorare sia con dati strutturati che non strutturati e può raccogliere l’enorme mole di dati eterogenei che una o più strutture sanitarie producono.
Una soluzione di Clinical Data Repository, infine, abilita applicazioni di Intelligenza Artificiale e Machine Learning che, grazie ad algoritmi capaci di auto apprendimento, possono fornire strumenti di supporto clinico decisionale, agevolando il personale medico nel prendere decisioni informate e tempestive sui piani di cura e protocolli personalizzati.
Un Clinical Decision Support System offrirà ad esempio la gestione di Alert in situazioni di emergenza monitorando parametri per facilitare una diagnosi precoce oppure, nell’ambito della ricerca scientifica, potrà identificare in tempo reale pazienti che rispondono agli specifici criteri di un clinical trial.
Cosa significa tutto questo a livello di sicurezza e privacy degli stessi dati?
Gli attacchi informatici si sono moltiplicati negli ultimi anni e, nella graduatoria stilata dall’Associazione Italiana per la Sicurezza Informatica (Clusit) nel Rapporto 2020, la sanità è risultata il terzo settore più attaccato.
Abbiamo tutti letto, o addirittura sentito raccontare da conoscenti, dei recenti attacchi ransomware in Irlanda, ad esempio, ma anche qui in Italia, con cartelle cliniche prese in “ostaggio”, anche presso prestigiosi ospedali, e con richiesta di riscatto da pagarsi in bitcoin.
La sanità italiana (diciamolo sottovoce) è estremamente vulnerabile a questi attacchi per via delle complesse architetture a patchwork che si sono accresciute nel tempo senza possibilità di definire una strategia tecnologica. Ogni elemento è un single point of failure. Questo è avvenuto per via dei vincoli di bilancio e della necessità di ricorso a gare dalle quali può emergere vincente qualunque tecnologia, normalmente quella a più basso costo. Anche l’utilizzo dell’open source offre un ulteriore elemento di vulnerabilità per ovvie ragioni.
Peraltro, anche quando non si sia soggetti ad attacchi da parte di hacker, una delle difficoltà legate alla tutela della privacy è proprio conseguenza della frammentazione dei dati fra diversi sistemi. Ogni sistema raccoglie i dati del paziente e deve gestire i limiti entro i quali tali dati possono essere trattati. Questo comportamento è però circoscritto al sistema stesso. La migrazione del dato da un sistema all’altro crea complessità a volte quasi ingovernabili e richiede un gestore centrale delle regole di autorizzazioni specifiche. Molto più facile a dirsi che a farsi.
D’altra parte, va sottolineato come a volte la tutela della privacy possa essere in contrasto con l’esigenza di cura. Immaginiamo infatti un paziente ricoverato che abbia oscurato, esercitando il proprio diritto, una serie di informazioni cliniche che lo riguardano: come dovrebbe comportarsi l’Ospedale nei suoi confronti? Il rischio è che vi siano informazioni preziose che potrebbero consentire una migliore diagnosi e cura di cui restano all’oscuro proprio i clinici che hanno in carico il paziente.
Anche l’uso secondario dei dati, preziosissimo per la ricerca, deve superare tutta una serie di ostacoli legati alla privacy che rendono difficoltoso utilizzare queste importanti fonti di informazione.
Agli organi regolamentatori andrebbe richiesta una maggiore chiarezza delle linee guida per la gestione del dato in sanità affinché siano chiari i contorni progettuali su cui ci si possa muovere, per evitare che la normativa diventi un alibi per non realizzare progetti.
A chi va ascritta la governance della data quality in campo sanitario? Al direttore sanitario, all’ICT manager, o più realisticamente a entrambi?
La governance della data quality è responsabilità soprattutto del Direttore Sanitario e in seconda battuta dell’ICT Manager, chiamati a collaborare a stretto contatto.
Il Direttore Sanitario ha una responsabilità tecnico-sanitaria volta a garantire la correttezza e la completezza dei dati in fase di raccolta e lettura delle informazioni. Dovrà quindi garantire la standardizzazione e qualità delle stesse, con strumenti quali ad esempio il catalogo delle prestazioni o il prontuario dei farmaci. Dovrà pertanto sensibilizzare e formare la propria equipe perché interagisca correttamente con gli strumenti informatici garantendo una buona qualità dei dati raccolti. In pratica, un vero e proprio processo di change management che metta in atto le disposizioni aziendali.
Nel farlo, dovrà anche aver ben chiara la strategia dell’uso secondario dei dati in prospettiva per la ricerca clinica.
L’ICT manager, dal suo lato, dovrà garantire che il processo stesso di raccolta e analisi avvenga in maniera corretta ed esaustiva, attraverso strumenti software adeguati rispetto al contesto in cui si inseriscono.
Dal vostro punto di vista cosa ha comportato la pandemia sul piano dell’integrazione dei dati sanitari? Qual è la lesson learnt?
Così come ha accelerato lo sviluppo di vaccini, la pandemia ha accelerato “tentativi” di integrazione dei dati sanitari. La realtà è che si era impreparati e che l’interoperabilità dei dati non si improvvisa. All’inizio abbiamo addirittura visto girare schede cartacee da accompagnare fisicamente ai tamponi fatti alla popolazione sulle quali non era richiesto di indicare il codice fiscale del cittadino testato. Possiamo immaginare la qualità di un’informazione raccolta in questo modo, trascritta dalla carta a fogli Excel che venivano poi inviati al Ministero della Salute. Sia ben chiaro che non è un problema “italiano”. La stessa cosa è successa in Gran Bretagna, dove i dati forniti risultavano sbagliati perché non si erano accorti di aver superato la capacità delle righe dei fogli Excel.
L’aspetto positivo, come suggerisce l’ottima domanda, è la lezione appresa: ormai è chiaro a chiunque quanto sia importante avere questi dati a disposizione e, allo stesso tempo, quanto sia pericoloso non averli.
Un’ulteriore consapevolezza sviluppata durante la pandemia è l’importanza di affiancare i dati clinici a quelli sociodemografici, necessità evidenziata durante la programmazione delle vaccinazioni contro il COVID-19, quando è stato indispensabile incrociare l’età del paziente con residenza, stato di salute, allergie, per mettere in campo un’efficiente programmazione che identificasse un ordine di priorità tra pazienti più o meno fragili, ma anche la vicinanza con il più vicino centro di vaccinazione oppure eventuali difficoltà motorie.
Purtroppo, il sistema sanitario è un ecosistema estremamente complesso e articolato che necessita di tempo e delle dovute accortezze per una radicale rivoluzione in ottica di interoperabilità.
Auspichiamo quindi che questa pandemia segni un nuovo inizio per la nostra sanità ed un decisivo acceleratore verso le nuove tecnologie, supportato ovviamente da adeguati investimenti: senza i dati non saremo in grado di affrontare le prossime sfide, che potrebbero essere ben più complesse di questa.
Quale proposta fa InterSystems alle direzioni sanitarie italiane?
InterSystems è una multinazionale produttrice di software sanitari che incorporano le migliori pratiche internazionali grazie ad un circuito virtuoso fra i nostri clienti in tutto il mondo ed una strategia di prodotto unico che viene portato in tutte le country di presenza con le medesime capacità funzionali.
Alle direzioni sanitarie italiane, infatti, proponiamo principalmente tre soluzioni per una corretta e completa raccolta e gestione del dato clinico: una piattaforma applicativa, una suite di strumenti per il sistema informativo territoriale e un Sistema Informativo Ospedaliero.
La piattaforma dati combina tutte le componenti necessarie per gestire e valorizzare i dati sanitari: un database multi-modello ad elevatissime performance, strumenti per lo sviluppo applicativo, un middleware di interoperabilità unitamente a funzionalità di analisi dei dati e un supporto per soluzioni di Intelligenza Artificiale e Machine Learning. Grazie a questa piattaforma, è possibile creare rapidamente applicazioni innovative per la sanità supportando tutti i più importanti standard di settore come HL7 e FHIR.
Un esempio sono i progetti di Clinical Data Repository di cui parlavamo sopra che, grazie ad una infrastruttura di Data Lake, possono raccogliere tutti i dati di una o più organizzazioni sanitarie e permetterne una gestione avanzata in ottica di medicina preventiva.
La suite di moduli integrati per la sanità elettronica permette di connettere tra loro pazienti, operatori sanitari con un sistema informativo di governo strategico del territorio. Al centro, questa suite vede un repository clinico che integra tutte le informazioni cliniche permettendo di creare e gestire soluzioni di fascicolo sanitario elettronico sia a livello di singole strutture che a livello di territori regionali e nazionali.
Il Sistema Informativo Sanitario/Ospedaliero fornisce un set completo di funzionalità cliniche, amministrative e dipartimentali al servizio dei professionisti sanitari per la gestione di percorsi integrati del paziente trasversalmente ai setting assistenziali (emergenze/urgenze, ricoveri, ambulatori, telemedicina) e attraverso le diverse unità di cura. Nel cuore del sistema, in grado di supportare qualunque struttura organizzativa (per dipartimenti, per intensità di cura, etc.), si trova la cartella clinica elettronica del paziente, arricchita di strumenti di workflow, decision support e analisi in tempo reale affinché medici e amministratori siano in grado di prendere decisioni pienamente informate sulla base di dati completi ed aggiornati. Questo sistema è interamente certificato come software dispositivo medicale.
Quali sono i partner tecnologici che entrano in campo per realizzare l’obiettivo della sanità centrata sul paziente?
La realizzazione di una sanità incentrata sul paziente richiede l’impegno e il coordinamento di tutti gli stakeholder, fornitori compresi, in una convergenza di competenze in cui l’IT e il dato fanno da comune denominatore.
L’evoluzione del settore ci sta portando verso un vero e proprio ecosistema interconnesso che impone la trasparente e leale collaborazione tra tutti gli attori che ne fanno parte. Il fine è di agevolare da un lato la ricerca clinica per il benessere di tutti e, dall’altro, affinare i percorsi di cura rendendoli personalizzabili a seconda delle caratteristiche di ognuno di noi.
Nell’ambito del puro mondo ICT, invece, il suggerimento è di affidarsi a un partner che abbia una visione globale del settore e con processi di sviluppo software secondo logica industriale, riconosciuto dal mercato e dagli analisti. In sintesi, un partner che fornisca soluzioni world-class e di eccellenza, frutto di esperienze internazionali e best practice. Occorre superare la logica delle soluzioni dipartimentali home-made che non abbiano la capacità di una continua evoluzione innovativa che invece oggi il mercato richiede.
Altrettanto utile è un mix di competenze tra vendor internazionali e società di System Integration con forte presenza locale per supportare le specifiche esigenze del cliente.