Home Tecnologie Stampa 3D Valvole e raccordi stampati in 3D, una storia di inizio pandemia

Valvole e raccordi stampati in 3D, una storia di inizio pandemia

Negli ultimi anni la stampa 3D si è ritagliata sempre più spazio anche nel medicale, ma fino a qualche mese fa poco si era sperimentato per la realizzazione di componentistica.

L’emergenza determinata dalla diffusione del Covid-19 ha creato una situazione mai sperimentata prima dal nostro sistema sanitario, con Terapie Intensive oberate. Se da una parte è stato quindi necessario riorganizzare, dove possibile, gli ospedali per convertire alcune aree in nuove Terapie Intensive e Subintensive e, dall’altra, si sono aperti ospedali da campo adiacenti alle strutture ospedaliere, anche la catena dei rifornimenti è spesso andata in panne.

D’altronde, il Covid-19 non aveva colpito solo in nostro Paese, avendo agito in un mondo globalizzato come un livellatore: improvvisamente dispositivi prima facili da reperire sono divenuti introvabili (come pure i reagenti necessari per analizzare i tamponi). Ci si è quindi trovati davanti alla necessità di soluzioni alternative.

Valvole da stampa 3D per ventilatori polmonari

Verso metà marzo 2020, all’Ospedale Mellini di Chiari (Brescia) ci si è accorti che in Terapia Intensiva stavano finendo le valvole necessarie a collegare i ventilatori polmonari alle bombole d’ossigeno. Il problema era che il produttore non era in grado di inviare a breve le unità richieste perché stava ricevendo ordini in grande quantità da varie realtà.

La soluzione si è trovata grazie a una rete di conoscenze di cui facevano parte anche esperti di tecnologia che ha permesso di trovare due ingegneri disponibili a mettersi in gioco: Cristian Fracassi, fondatore e ceo di Isinnova, e Alessandro Romaioli, uno degli ingegneri dello staff. Isinnova gravita intorno a FabLab Milano, un laboratorio di fabbricazione digitale, un luogo di condivisione e coworking pensato per mettere in comunicazione gli studenti con le aziende, gli artigiani con le imprese.

I due ingegneri hanno raccolto la sfida. «La prima difficoltà è stata la mancanza dei disegni di progetto della valvola in questione», sottolinea Fracassi. «Abbiamo dovuto utilizzare la tecnica del reverse engineering: abbiamo studiato la valvola e poi abbiamo provato a ridisegnarne il progetto».

L’esperienza e il know-how sono stati qui fondamentali per risalire al progetto e ottenere con la stampa 3D un prototipo funzionale. Lo stesso Fracassi sottolinea che «in situazioni di questo genere non basta essere un maker, serve una certa dimestichezza». I primi prototipi sono stati prodotti in poche ore e consegnati all’ospedale per essere testati. Una volta avuta la conferma che la valvola svolgeva il suo compito in modo efficiente, ne sono stati prodotti circa 150 esemplari, tutti per il Mellini.

L’ing. Romaioli spiega i dettagli della produzione: «il primo prototipo è stato realizzato con una tecnologia a polvere, usando una stampante a filamento, per validare le geometrie del prodotto. Questa tecnica lasciava, però, delle rugosità sulla superficie che non consentivano alla valvola di miscelare adeguatamente l’ossigeno con l’aria. C’era poi un’altra caratteristica tecnica difficile da realizzare in modo perfetto: la valvola all’interno ha un foro del diametro di circa 0,8 mm che deve avere una circolarità perfetta e che è difficile da ottenere anche con le stampanti più evolute».

Non a caso, il foro di ogni valvola è stato ripreso a mano per renderlo perfetto. Si è quindi trattato di un lavoro impegnativo, se non dal punto di vista progettuale certamente per la produzione degli esemplari necessari al Mellini. Fracassi ha inoltre sottolineato che, quando possibile, è sempre meglio usare le valvole del produttore, perché queste stampate in 3D, benché funzionanti, non sono uguali al 100%. Infatti, l’emergenza sanitaria creata dal Covid-19 ha consentito un uso compassionevole di queste valvole, che non hanno il marchio CE. «La procedura necessaria per ottenere la certificazione europea è lunga e articolata e non può essere seguita quando si deve operare in velocità. Una volta conclusa l’emergenza», sottolinea il dott. Ruocco, «vorremmo avviare uno studio dettagliato per valutare anzitutto i materiali più adeguati alla realizzazione di valvole di questo tipo. Occorrerà poi avviare le procedure per verificare se questi prodotti possono essere usati in ospedale come dispositivi medicali veri e propri».

valvole maschera

Valvole Charlotte

Nella prima ondata a provincia di Brescia è stata una delle più colpite dalla pandemia. Ecco quindi che, risolta la mancanza di valvole a Chiari, Isinnova è stata contattata dal dott. Renato Favero, ex primario dell’Ospedale di Gardone Val Trompia (BS), che aveva evidenziato una potenziale criticità in arrivo: l’insufficienza, dato l’aumento rapido dei contagiati, di caschi C-PAP per il sostegno della respirazione nelle Terapie Subintensive. Favero aveva già pensato a una soluzione possibile: individuare un prodotto già esistente sul mercato da adattare con valvole adeguate a realizzare maschere respiratorie che si potessero attaccare ai ventilatori in uso negli ospedali e agli impianti di ossigeno a muro.

«Abbiamo optato per la maschera da snorkeling di Decathlon (modello Easybreath), perché ha le caratteristiche tecniche che il medico aveva indicato: occupa tutto il viso e non lascia uscire l’ossigeno. Abbiamo quindi contattato l’azienda francese, in quanto ideatrice, produttrice e distributrice della maschera, che ha consentito a collaborare, in particolare facendo avere un CAD della maschera. Il prodotto è stato quindi smontato, studiato e sono state valutate le modifiche da apportare», sottolinea Ruocco. In questo caso il lavoro di progettazione non è stato complesso e ha portato all’ideazione di due valvole, o adattatori, che lavorano di concerto: Charlotte e Dave. «I due pezzi possono essere stampati con una stampante FDM con impostazioni base e con un filamento polilattico (PLA), un materiale inodore, biocompostabile e abbastanza flessibile da consentire il raccordo con gli altri elementi del respiratore. Una volta stampati i prototipi, questi sono stati testati all’Ospedale di Chiari, che ne ha verificato la funzionalità, decidendo di testarla su un paziente con difficoltà respiratorie. Il collaudo è andato a buon fine».

Certo, ogni ospedale deve ideare il modo migliore per collegarli all’interfaccia comunemente in uso e anche qui Isinnova ha dato una mano. In questo caso, i numeri necessari a garantire un buon sostegno alle Terapie Subntensive erano abbastanza alti: in un paio di settimane ne sono state realizzate alcune migliaia di unità. Isinnova non poteva stampare tutte le valvole da sé. «Abbiamo quindi deciso di chiedere aiuto alla comunità italiana di maker, anche perché questi raccordi sono di facile realizzazione. Abbiamo dato modo a chi volesse aiutarci nella stampa di registrarsi su un portale dedicato e abbiamo reso pubblici i disegni e le caratteristiche tecniche di stampa». Prima, però, la valvola è stata brevettata per evitare che altri potesse lucrarvi, facendo pagare le valvole agli ospedali. Isinnova vuole infatti che questi raccordi siano donati alle realtà che ne hanno bisogno. Anche gli stampatori che si sono uniti al progetto lo hanno fatto senza alcun compenso.

Come funziona il raccordo? «Ci siamo coordinati con la Protezione Civile, che in alcuni casi ha acquistato le maschere da Decatlon e in altri le ha recuperate usate dai cittadini. Questa seconda opzione richiede, però, un passaggio di sterilizzazione. Abbiamo fato da collettori: ricevuto i raccordi stampati dai maker o dalle aziende che hanno deciso di collaborare, li abbiamo controllati e consegnati alla Protezione Civile. Da noi saranno transitati 2000 pezzi».

La piattaforma ideata, però, consente a un ospedale di mettersi direttamente in contatto con uno stampatore del suo territorio, senza passare da Isinnova: i numeri sono quindi certamente superiori. Senza contare che il progetto ha raggiunto anche alcuni ospedali d’oltralpe. «Quest’ultima esperienza ci ha insegnato che esiste una comunità che ha voglia di impegnarsi. Quando la Protezione Civile di Brescia ci ha comunicato che aveva le prime 500 maschere e che servivano i corrispettivi raccordi, temevamo di non farcela. Invece, grazie alle risposte di colleghi e appassionati, abbiamo evaso l’ordine in un giorno e mezzo», conclude Ruocco.

Una consapevolezza che fa sentire meglio in periodi difficili come questo. Manca però un tassello a finire questa storia. Oggi la Charlotte può essere prodotta a livello industriale grazie all’entrata in campo di un noto gruppo industriale bergamasco, il gruppo Oldrati, che ha creato uno stampo industriale che può essere utilizzato con una stampante a iniezione, il che ne velocizza la produzione. Questo periodo di incertezze ha senza dubbio evidenziato il valore della tecnologia della stampa 3D, aprendo le porte a nuove strade da esplorare in tempi più tranquilli.

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