Una delle frontiere della medicina è lo sviluppo di sensori sempre più precisi per la misurazione di parametri elettrofisiologici per seguire lo stato di salute dei pazienti a distanza.
Sensori simili possono essere utili anche in ambito riabilitativo, per favorire l’interazione dei pazienti con la realtà virtuale, per esempio, e quando vi sia un’interazione uomo/macchina.
Per registrare i parametri in modo preciso, questi sensori devono aderire il più possibile alla cute, caratteristica difficile da ottenere con le normali metodiche di costruzione: «la maggior parte dei sensori oggi disponibili», spiega Yong Zhu, professore di ingegneria meccanica e aerospaziale presso la North Carolina State University, «è costruita su substrati polimerici solidi, per esempio composti di PDMS (polidimetilsilossano), PET (polietilentereftalato) e PI (poliammide)».
Oltre ad aderire male alla cute, questi sensori spesso causano irritazione cutanea perché non permettono l’evaporazione dei gas e delle sostanze eliminate con il sudore. Negli ultimi anni diversi team hanno creato sensori capaci di respirare, per esempio basati su una combinazione di particelle di zucchero per creare lo scaffold e grafene per favorire la conduzione, oppure su alcool polivinilico.
«Questi sensori sembrano funzionare, ma hanno il limite di essere difficili da costruire. Noi stiamo provando a creare un sensore ultrasottile e traspirante che sia anche facile da produrre e si presti quindi a essere eventualmente prodotto a livello industriale».
Il nuovo device è stato sviluppato in due prototipi.
Spesso quello che viene prodotto nei laboratori di ricerca resta orfano, senza aziende produttrici che lo portino nel mondo reale e sul mercato. Una delle ragioni di ciò può essere la difficoltà dei processi produttivi alla base dei prototipi. In questo caso, come detto, i ricercatori sono stati attenti a ideare un processo semplice da riprodurre. La tecnica usata è chiamata “breath figure method” e serve per produrre un film sottile caratterizzato da una distribuzione uniforme dei pori.
In questo caso, si è usato il poliuretano. Una volta ottenuto un film adeguatamente poroso, i ricercatori hanno inserito sotto la superficie dei nanofilamenti d’argento. A questo punto, poliuretano e filamenti sono stati fusi insieme con un processo di pressione a calore. Durante la fabbricazione è stato utilizzato del tetraidrofurano come solvente. Alla soluzione è stato infine aggiunto del glicole polietilenico, in rapporto 1:10 in peso con il poliuretano: questo è servito a facilitare l’assemblaggio ordinato delle gocce di acqua, utili a favorire la giusta porosità del materiale. L’evaporazione del solvente ha infine raffreddato il substrato.
«La dimensione dei pori», spiega il professor Zhu, «può essere controllata modificando la concentrazione della soluzione iniziale. Più in particolare, una soluzione più concentrata porta a pori più piccoli e una meno concentrata a pori più larghi. Occorre prestare attenzione a questo equilibrio, perché soprattutto pori troppo grossi, magari visibili a occhio nudo, tendono a rendere difficile il trasporto dell’impulso elettrico».
I film prodotti sono stati inizialmente valutati per verificarne le qualità. Per esempio, sono stati immersi in una soluzione salina per mimare il contatto con il sudore e controllarne quindi la resistenza a questo fluido.
«Questo test ha dimostrato che più passa il tempo a contatto con il sudore più la resistenza ai sali aumenta. Noi siamo arrivati a 100 ore d’immersione».
Un secondo test, importante se si pensa di usare un materiale sulla cute, riguarda gli effetti del togliere il materiale dalla cute: in particolare, interessa che il sensore mantenga le proprie capacità elettriche per poterlo riutilizzare.
Il materiale prodotto ha dimostrato di poter essere staccato dalla cute, conservato su un elastico e poi essere riutilizzato quando necessario. Inoltre, questo materiale è conduttivo sia verso la superficie superiore sia verso quella inferiore. Queste sono alcune delle caratteristiche tecniche che possono essere, invece, lette integralmente nello studio pubblicato. Ciò che più ci interessa è come queste caratteristiche possono essere usate in ambito medico.
Sensore e ambiti di applicazione
«Il materiale che abbiamo prodotto è prima di tutto poroso e quindi traspirante, il che significa che lascia passare il vapore acqueo e i prodotti di scarto della respirazione cutanea. Come detto, questa possibilità rende il materiale più semplice da indossare per lunghi periodi di tempo perché riduce il rischio di irritazioni. Molto sottile, questo film mostra una combinazione ideale tra conducibilità elettrica, trasmittanza ottica e permeabilità. Inoltre, grazie alla posizione dei nanofili di argento, il materiale ha mostrato anche un’ottima stabilità in presenza di sudore».
Per le sue caratteristiche, questo materiale potrebbe essere usato in ambito clinico per produrre sensori elettrofisiologici da impiegare nelle ricerche, per esempio. Il prof. Zhu pensa che potrebbe essere sfruttato per la registrazione continuativa di segnali per lungo tempo, per esempio per monitorare le condizioni cardiache di un paziente e aiutare la diagnosi accurata di alcune patologie del cuore. Ma non solo.
«Il sensore può essere usato anche per registrare i segnali elettromiografici nel controllo delle protesi. I nostri elettrodi possono, infatti, lavorare per un tempo molto lungo, il che permette di non sostituirli ogni giorno. Inoltre, dato che posizionare e calibrare in modo corretto un elettrodo per una persona disabile non è semplice, poterlo posizionare una volta e usare per più giorni renderebbe l’uso della protesi più semplice. Per testare il materiale abbiamo creato due prototipi: il primo è stato usato per monitorare un ECG e un EMG, il secondo prototipo rappresenta invece un’interfaccia uomo/macchina. Partiamo dal primo prototipo. Nello studio abbiamo messo a confronto il nostro sensore con elettrodi in gel commerciali. Nel caso del test sull’ECG l’elettrodo di riferimento era sul braccio sinistro, mentre l’elettrodo che registrava sul destro e l’elettrodo di massa sulla gamba sinistra. L’insieme di questi tre elettrodi forma il triangolo di Einthoven, fondamentale per eseguire un ECG. Il test sull’EMG è stato condotto sulla contrazione dell’avambraccio, mentre la forza di contrazione è stata monitorata con un misuratore di forza di presa. In entrambi i casi abbiamo ottenuto un rapporto segnale/rumore di fondo simile».
A queste applicazioni se ne potrebbe aggiungere un’altra, non ancora testata dal team, ma «meritevole di future sperimentazioni».
Si tratta della sua applicabilità come interfaccia tra paziente in riabilitazione e realtà virtuale. Il materiale è stato infatti testato per la produzione di un sensore wireless di contatto: «in particolare, abbiamo usato il sensore come una tastiera bluetooth. In questo caso, il sistema può essere diviso in quattro parti: un elettrodo, formato dai nanofili di argento, un indicatore del segnale di capacità che misura i cambiamenti in atto, una scheda di commutazione wireless e una batteria. Più in dettaglio, quando i cambiamenti di capacità superano una soglia stabilita, il tocco delle dita viene inviato alla scheda di commutazione. Questa, a sua volta, trasforma il tocco in un tasto della tastiera e permette di comandare il cursore sul computer».
Un’applicazione apparentemente non utile in clinica, ma che potrebbe essere studiata e tradotta anche in ambito medico. La ricerca non è finita: al momento il team sta lavorando per migliorare ulteriormente la stabilità a lungo termine, aspetto molto importante per utilizzare il sensore nella vita quotidiana.
«Abbiamo stabilito di aggiungere un ulteriore strato protettivo che dovrebbe aumentare l’età media dell’elettrodo, rendendolo attivo per diverse settimane. La sfida è come migliorare la stabilità senza rinunciare alla traspirabilità».
Bibliografia
Zhou, W., Yao, S., Wang, H., Du, Q., Ma, Y., & Zhu, Y. (2020). Gas-Permeable, Ultrathin, Stretchable Epidermal Electronics with Porous Electrodes. ACS Nano. doi:10.1021/acsnano.0c00906