Identificare i pazienti con fattori di rischio per infezioni invasive da Candida, fungo particolarmente insidioso, permetterebbe di salvare vite umane, specie quelle dei pazienti fragili, come le persone anziane.
Il tasso di mortalità di quella che per la popolazione sana è una condizione facilmente gestibile, infatti, in questi pazienti arriva al 30-40%. Percentuale troppo alta che potrebbe essere abbassata con una terapia empirica precoce: farmaci da somministrare prima che l’infezione si sviluppi. Un trattamento da riservare solo a chi è veramente a rischio.
Individuare i pazienti giusti in maniera scientificamente accurata è stata la missione che si è data un gruppo di clinici e ingegneri informatici che ha vinto all’edizione 2017 del Digital Health Program, bando di concorso promosso dall’azienda biofarmaceutica Gilead Sciences e riservato a Enti di ricerca e ad Associazioni pazienti italiane. Il bando mira a selezionare e premiare i migliori servizi e strumenti che, attraverso le tecnologie digitali, possano migliorare qualità di vita e assistenza terapeutica del paziente con diverse patologie tra cui le infezioni fungine invasive.
Il primo passo è stato quello di studiare la letteratura scientifica per capire quali fossero i fattori di rischio già individuati per lo sviluppo di questa infezione.
“I dati esistono a livello internazionale soprattutto nel campo della terapia intensiva e della chirurgia, pochi invece sono quelli che vengono dalla medicina interna, utili ai nostri fini – spiega in una nota Carlo Tascini, dell’Ospedale dei Colli di Napoli e responsabile del progetto -. In più i fattori di rischio venivano individuati mettendo a confronto pazienti con candidosi e pazienti sani”.
Il gruppo di ricerca ha deciso di studiare 150 pazienti con infezione da Candida, nei reparti di Medicina Interna, e di confrontarli con altrettante persone affette da un’infezione batterica.
In questo modo è stato possibile individuare alcuni fattori di rischio: la presenza di un catetere venoso centrale, la presenza di precedenti ricoveri e l’aver effettuato terapie antibiotiche.
I dati ottenuti sono stati quindi elaborati con metodi di statistica standard e i risultati sono stati pubblicati.
“Ma siamo andati oltre e ci siamo domandati se grazie all’intelligenza artificiale fosse possibile migliorare la capacità predittiva del modello. Così abbiamo messo tutti i dati nelle mani degli ingegneri informatici che hanno cominciato a lavorare a un algoritmo che fosse capace non solo di predire sulla base di quello che avevamo, ma anche di imparare mano mano che aumentavano i dati a nostra disposizione – spiega Tascini -. Il risultato è un modello che predice in maniera ancora più accurata di quanto facesse la statistica classica quali sono i pazienti che in breve tempo svilupperanno un’infezione e a cui è quindi opportuno somministrare una terapia preventiva”.
Il modello è stato sviluppato dai centri che hanno collaborato al progetto: oltre all’Ospedale dei Colli di Napoli, la Fondazione Gabriele Monasterio di Pisa, l’Università di Perugia, gli Spedali Riuniti di Livorno e l’Ospedale di Sassuolo.
Il modello verrà ancora testato sui pazienti che afferiranno a queste strutture, così che nei prossimi mesi si amplierà il database e si metterà alla prova la capacità di imparare dell’algoritmo.