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Interoperabilità, la missione del software in sanità

Il confronto nazionale sul software in sanità, svoltosi a Roma presso l’Università Cattolica, ha riportato alla luce un elemento senz’altro risaputo, per alcuni forse anche vieto nel suo manifestarsi, ma non perciò da trascurare, anzi: la sanità italiana ha bisogno di rendere i propri software interoperabili. E ha bisogno di farlo il prima possibile.

Ne ha bisogno per ottemperare a quello che Emilio Meneschincheri, Ict manager della Fondazione policlinico universitario Gemelli di Roma, individua come un mandato costituzionale: mettere le tecnologie a supporto del diritto alla salute, per tutti.

Ne aveva bisogno in passato, ne ha bisogno ancora di più adesso, che il quadro tecnologico per certi aspetti si complica.

La trasformazione “semplificante” del digitale, per molti aspetti semplice non lo è.

Inquadrarla correttamente, secondo Massimo Casciello, Direttore generale della vigilanza degli enti e della sicurezza delle cure del Ministero della Salute, significa capire che digitale è un modo diverso di rapportarsi con esseri umani. Inclusivo. Genomica, stampa 3D, intelligenza artificiale cambieranno in modo sostanziale l’approccio del medico al paziente e incideranno sul SSN. Resta da capire se lo faranno in modo ordinato o caotico.

Un fascicolo vivo

Seguendo il filo di una sfida più culturale che tecnologica, Sergio Pillon, coordinatore commissione tecnica paritetica per lo sviluppo della telemedicina nazionale del Ministero della Salute sostiene che Big data e IoT sono le cose da fare, per creare un fascicolo sanitario vivo, capace di integrarsi con i sensori.

Se non, addirittura, come accade nel sistema di digital health mobile israeliano (che ha il fascicolo sanitario elettronico da 20 anni) con le tecnologie di Clalit, oltrepassare il concetto di fascicolo, puntando ad avere e usare big data in tempo reale, con viste specifiche: realizzare un cruscotto di health analytics personalizzato per ogni medico. Fantascienza? No, realtà dove i dati sono ordinati. E interoperabili.

Per Domenico Favuzzi, ad di Exprivia Italtel e presidente area digital transformation in sanità, Anitec Assinform, infatti quello che fanno in Israele possiamo farlo anche in Italia.

Il problema è mettersi d’accordo e trovare le formule di integrazione che altrove funzionano. La sanità elettronica non è adottata uniformemente nelle regioni europee. Il sistema sanitario italiano, che era valido, è via via arretrato rispetto ad altri paesi europei in fatto di telemedicina, ora siamo al 21 posto nel censimento Euro Health Consumer Index.

L’innovazione digitale è cambiamento organizzativo, coinvolgimento cittadino paziente e sviluppo nuove competenze in sanità.

Medicina personalizzata, se non ora quando?

Ecco allora che il richiamo di Fulvio Sbroiavacca, coordinatore area digital transformation sanità Anitec Assinform, ci riporta a una realtà da modificare, adesso. Se sono necessari minimo due anni per fare un software che il SSN approva, per via di un procedimento “borbonico”, significa rilasciare un software già obsoleto.

Le tendenze chiave oggi sono la salute digitale (mHealth), i big data e la medicina di precisione. E il tema fondamentale è l’integrazione delle informazioni. Ma i sistemi informativi digitali non possono essere solo al servizio a ricerca e la clinica, devono arrivare al sistema di ospedale e di continuità della cura.

Obiettivo, dunque, è avere a disposizione informazioni dettagliate per puntare alla medicina personalizzata. Le linee guida devono essere “data intensive” e alta specializzazione dei sistemi informativi sanitari. Sarà dunque importante raggiungere quanto prima l’interoperabilità delle soluzioni, con l’attribuzione del massimo valore del dato.

Si arriva allora al punto: quello che manca oggi è un modello di dati sanitari. In linea diretta, il commitment è arrivare a creare quel modello di dati che abilita e implementa interoperabilità. Altri non ne servono e non vanno perseguiti.

Anche per Nicola Pinelli, direttore della Fiaso (Federazione Italiana Aziende Sanitarie e Ospedaliere) il tema dell’interoperabilità è chiaro da anni. Un problema serio, sostiene, dovuto dalla mancata interpretazione nelle aziende su chi deve portare avanti il tema tecnologico, con una proposta di valore. Ma è anche mancato qualcosa nel legame fra aziende sanitarie e fornitori di software: troppo rigidi i primi, inefficaci ad affermare il cambiamento gli altri.

C’è stato il GDPR, che è una gerande opportunità di cambiamento.

Ma la spesa Ict in sanità va interpretata non come un costo, piuttosto per il valore che produce. Il senso di obsolescenza percepito attualmente, e l’evoluzione rapida digitale creano un continuo andamento che, per forza di cose richiede investimenti.

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