Pochi altri settori riescono a esprimere in modo del tutto naturale il concetto di big data come il mondo della Sanità.
Al punto da preferire spesso utilizzare il termine Data Lake per esprimerne al meglio la vastità, accompagnata spesso dalla difficoltà di coglierne sfumature e opportunità senza addentrarsi al suo interno. Con tutti i rischi che ne derivano e la necessità di competenze specifiche.
D’altra parte, anche un’enorme opportunità per il mondo IT, a diversi livelli. Dalla capacità di raccolta e organizzazione, a quelle di analisi, attraverso una serie di passaggi indispensabili per trasformare il potenziale in informazioni. A vantaggio tanto della struttura sanitaria quanto di progettisti, system integrator e fornitori di soluzioni.
L’interesse quindi non manca e gli aspetti rilevanti sono già diversi. Prima di tutto, è praticamente impossibile affrontare la questione nel suo insieme, cercando una soluzione capace di coprire ogni esigenza e possibilità. La scelta al momento più battuta dalle grandi software house è concentrarsi su un aspetto per volta, il più possibile in linea con il proprio DNA e dove provare a tracciare una rotta.
Da uno sguardo d’insieme al mercato infatti, emergono diversi aspetti interessanti. Tutti, indicatori di una particolare rotta da seguire, ma nel tempo pronti a formare una soluzione completa, frutto della combinazione di svariati moduli e strategie. Senza trascurare una variabile sempre presente quando si parla di Italia, un contesto non necessariamente nella media.
Un cambiamento da gestire
«Il mondo della Sanità è un ambiente Big Data per definizione – spiega Carla Masperi, chief operating officer di SAP -. In Italia in particolare, la caratteristica più evidente è trovare sistemi IT molto variegati composti da piccole isole, conseguenza di un approccio non organizzato».
Le opportunità restano invariate. Il problema semmai è riuscire a tracciare una strada idonea pur restando allineati ai principi di fondo dei Big Data e delle procedure sanitarie. Le esperienze maturate finora da SAP sono giudicate incoraggianti. In particolare, una spinta importante è attesa dalla telemedicina e dai processi di digitalizzazione ormai spinti a livello consumer.
Una sorgente di dati quindi sempre più estesa, da affrontare prima di restarne travolti. Al riguardo però, sorge anche un importante problema pratico, la capacità di gestire il cambiamento. Se la tecnologia è infatti ormai in grado di supportare l’evoluzione digitale dalla Sanità, non sempre lo stesso si può dire del personale. Un aspetto spesso sottovalutato, dove serve una guida interna, capace di motivare il cambiamento inquadrando i vantaggi e aiutando a superare i timori.
Approccio top-down
Anche per questo probabilmente, una delle strategie più diffuse è quella dei piccoli passi. Invece di una rivoluzione a tutto campo, stravolgendo organizzazione, processi e abitudini consolidate da anni, si preferisce individuare nicchie dalle quali avviare la digitalizzazione. Spesso, partendo da diagnostica per immagini o laboratori, dove i benefici del digitale sono immediati da cogliere.
«Parliamo di processi lunghi e complessi – sottolinea Veronica Jagher, director industry solutions-healthcare di Microsoft –. Meglio quindi suddividere un grosso problema in tante piccole domande, più semplici. Per tutti, la sfida più importante è mettere in comunicazione competenze e abitudini di un clinico con quelle molto diverse dell’IT».
Importante, è non avere fretta di coprire ogni funzione possibile. Anzi, meglio restare concentrati su un singolo modulo e accertarsi di riuscire a farlo funzionare al meglio. Dove per meglio si intende possa risultare di effettiva utilità per gli utenti (i clinici) e i pazienti.
Per una grande azienda, questa strategia comporta anche un altro importante vantaggio, la possibilità di seguire, con l’aiuto dei partner, più progetti in parallelo, e pensare di farli confluire in uno strumento più ampio una volta ben rodati e integrati.
Prepararsi all’analisi
Così facendo, si aprono anche nuove prospettive. Se il primo passo dei Big Data nel mondo della Sanità deve essere a supporto di efficienza e gestione dei costi, una volta rese affidabili procedure e sorgenti dei dati, si può passare alla fase di analisi. Anche in questo caso, i benefici sono diversi.
«Per noi è importante creare uno strato IT unico – precisa Daniele Cesario, data & analytics sales representative di Oracle – dove raccogliere il patrimonio informativo per metterlo a disposizione degli analisti. Creando così le premesse per sfruttare intelligenza artificiale e analisi statistiche avanzate».
Una conseguenza non scontata di tutto questo è il progressivo spostamento del baricentro dei dati sempre più verso il paziente. Grazie anche alla diffusione di wearable e app, cresce l’utilizzo di sistemi di monitoraggio orientati a Internet, anche da remoto. Quindi, ulteriori dati contestuali oltre a quelli relativi a visite e ricoveri, si combinano con la parte amministrativa e quella gestionale. L’obiettivo finale, arrivare a un’analisi in ottica maggiormente predittiva.
La via migliore passa per il canale
In comune a tutti questi punti di vista, il ruolo strategico dei partner. La vastità dello scenario Big Data, la complessità, la particolare frammentazione di competenze e punti di vista italiana e il panorama normativo profondamente variabile, implicano uno stretto rapporto con system integrator e software house locali, insieme alle quali sviluppare moduli dedicati e dai quali attingere per costruire le soluzioni più articolate.
Facile quindi pensare a uno scenario in continua evoluzione, in un mercato ancora per buona parte da valorizzare e per questo particolarmente interessante da seguire.