Alcuni ricercatori dell’Università di Eindhoven, in Olanda, hanno eseguito uno studio sulla produzione di stent polimerici mediante la stampa 3D a deposizione.
L’obiettivo era quello di comprendere se la produzione additiva con materiali plastici può arrivare a generare uno o più tipi di stent che abbiano proprietà fisiche simili a quelli tradizionali in nickel-titanio (nitinol) ma che non debbano essere sostituiti per seguire la crescita del paziente in cui vengono applicati, come accade nella cardiochirurgia pediatrica.
La ricerca olandese è partita dallo studio dei modelli tradizionali, in modo da ricavarne un modello matematico con cui confrontare i prototipi di stent realizzati con la stampa 3D.
Il punto chiave è che gli stent devono raggiungere un equilibrio ideale tra la forza radiale che li mantiene in posizione aderenti alle pareti dell’arteria in cui si trovano, la gamma di diametri che possono assumere senza deformarsi o rompersi e la biodegradabilità (nel caso di uno stent che debba adattarsi alla crescita del paziente).
Lo studio olandese non aveva l’obiettivo di raggiungere una soluzione definitiva ma solo di testare se la stampa 3D classica a deposizione (FDM) potesse arrivare a buoni risultati usando un polimero plastico di uso comune.
Per questo la scelta è ricaduta sul TPC (copoliestere termoplastico), che ha le giuste caratteristiche meccaniche e di biodegradabilità ma non è biocompatibile.
Future ricerche, si spiega, dovranno indirizzarsi verso materiali diversi.
Dalle analisi matematiche degli stent in nitinol i ricercatori di Eindhoven hanno derivato un primo modello virtuale di una versione analoga in TPC.
Il modello è stato sottoposto a molti test virtuali di rottura e compressione che hanno portato a una sua versione ottimizzata e definitiva.
Di questa sono stati prodotti diversi esemplari usando una normale stampante Replicator 2X di MakerBot.
I prototipi reali in TPC sono stati sottoposti anche nella realtà ai test che il loro modello aveva superato virtualmente, e i risultati sono stati positivi. Sono stati eseguiti anche diversi test di biodegradabilità, un fattore chiave per gli stent che devono seguire la crescita dei pazienti. L’idea è che con il passare del tempo la struttura dello stent si degradi e non sia più compatta come all’inizio, permettendo quindi all’arteria di crescere e di espandersi.
In questo senso la costruzione “imprecisa” della stampa 3D è un vantaggio.
Uno stent stampato per FDM è intrinsecamente fatto a strati che definiscono futuri punti di rottura, man mano che il materiale si degrada per idrolisi.